In questi giorni una signora di 90 anni è stata posta sotto scorta per le minacce subite da alcuni beoni nascosti online, mentre il sindaco di una piccola cittadina si è rifiutato di versare 370 euro a uno studente che voleva visitare un campo di concentramento perché l’iniziativa era “di parte” dato che non coinvolgeva anche le foibe o i gulag comunisti dell’Europa dell’est, come dire che se mi piace vestirmi di nero, mi devo vestire anche di rosso sennò quelli a cui piace vestirsi di rosso si offendono.

Episodi, questi, piuttosto tristi, proprio perché veri e non isolati, che rendono di grande attualità il documentario, nei cinema in esclusiva i giorni 11, 12 e 13 novembre, diretto e sceneggiato dalle reporter Sabina Fedeli e Anna Migotto, per la fotografia di Alessio Viola e la colonna sonora del maestro Lele Marchitelli (The young Pope).

Attraverso la lettura del diario di Anna Frank da parte dell’attrice Helen Mirren e del viaggio attraverso i luoghi della Shoah della giovane Martina Gatti, viene ricostruita la vicenda della ragazza olandese morta nel campo di sterminio di Bergen-Belsen e di altre giovani scampate al genocidio nazista.

Storie di sconosciute, fra cui, ad esempio, le sorelle italiane Tatiana e Andra Bucci, che pur non essendosi mai incontrate ma al massimo “sfiorate” come Arianna Szörényi di padre ungherese e madre triestina, che racconta di aver visto per qualche secondo Anna Frank nel campo di sterminio di Auschwitz, hanno condiviso un’esperienza di morte che le ha unite per sempre attraverso lo spazio come unisce noi tutti attraverso il tempo, decenni dopo, rendendoci custodi di quella memoria collettiva che impedisce che cose del genere, sia che provengano da un gruppo di fanatici razzisti, da fondamentalisti religiosi o estremisti che col pretesto dell’uguaglianza di tutti vogliono negare i diritti del singolo, accadano di nuovo. Nel complesso un’opera interessante, specie per il parallelismo tra la vite reali delle sopravvissute, Sarah Montard detenuta anche lei a Bersen definisce con orgoglio uno sberleffo ai nazisti la propria discendenza e quella che Anna ha, invece, solo potuto immaginare nelle pagine del diario e per la riflessione su come uccidendo i bambini si cancella un’enorme insieme di sogni e potenzialità per il futuro di tutti che risente di un certo senso di già visto e di una considerevole “freddezza narrativa” che rende difficile allo spettatore empatizzare con le storie raccontate.

Un film che merita di essere visto perché tra pochi anni le voci dei sopravvissuti inevitabilmente taceranno per sempre e resterà solo la nostra a fare da argine tra la civiltà e l’orrore.

Andrea Persi 

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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