Arthur Curry, alias Aquaman (Jason Momoa) è ormai divenuto sovrano di Atlantide, marito di Nera (Amber Head) e padre del piccolo Arthur Jr. Ma l’antico nemico Black Manta (Yahya Abdul-Mateen II) riappare mettendo in pericolo la pace e la sicurezza degli oceani, grazie a un’antica arma appartenente a un popolo dimenticato, costringendo Aquaman a chiedere aiuto al perfido fratellastro Orm (Patrick Wilson).
“Zuppone” riscaldato da cui il buon Willem Dafoe, che nel primo film interpretava il saggio Vulko, si è saggiamente tirato fuori, con la scusa di dare maggior spazio al personaggio di Atlanna interpretato da Nicole Kidman (che, infatti, si vede meno che nel primo film) di una banalità disarmante. Quasi si riesce a prevedere, infatti, non solo cosa accadrà ma perfino le battute, di dubbia ironia degli attori e zeppo di citazioni più o meno volontarie che vanno dalla trilogia di Star Wars (quella bella), ai film di Bud Spencer e Terence Hill, fino a Terrore nello Spazio di Mario Bava, con una trama più stiracchiata della pancera della madre del preside Skinner (vedi l’espediente per “riesumare” il personaggio di Orm).
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Quanto al cast, vittima del green screen, o semplicemente tediato dalla storia, lo stesso mostra la verve recitativa di un blocco di tufo e ci vorrebbe una risoluzione degna del telescopio Hubble per percepire un briciolo di pathos emotivo del protagonista nei momenti (si fa per dire) più drammatici della storia.
Nonostante la catastrofe sotto tutti i punti di vista il film si può vedere grazie alla durata accettabile di circa due ore, ma conferma tragicamente che ormai le pellicole dei supereroi stanno diventando dei “cinepanettoni” ripetitivi e scontati.
In sostanza, con questo Aquaman – Il Regno Perduto, la DC più che chiudere il franchising Extended Universe lo ha avvolto in un sudario e lo gettato in mare. O, meglio, in un water bello grosso.
Andrea Persi