Attraverso un documentario televisivo ci viene raccontata la genesi e la storia della commedia teatrale Asteroid City scritta dal commediografo Conrad Earp (Edward Norton) e diretta dal regista Schubert Green (Andrew Brody) che racconta del primo contatto tra un alieno e gli essere umani in una cittadina del Nevada negli anni ’50.
Usando i toni della commedia fantastica, dando prova della consueta maestria nella composizione visiva nell’utilizzo dei colori nella profondità di campo e anche nella CGI (volutamente cartoonistica) e ponendo la storia su ben tre piani narrativi a volte intersecati tra di loro: quello televisivo del documentario, quello teatrale del dietro le quinte dello spettacolo e quello (l’unico a colori) semirealistico del della storia contenuta nella pièce teatrale, tutte in un certo senso “avvolte” nel racconto cinematografico, Wes Anderson cerca di rappresentare un mondo (o tre mondi, compreso quello reale) vittima in una specie di anestesia collettiva (come indica il mantra ripetuto ossessivamente verso la fine del fine del film “Se non dormi non puoi svegliarti”) che non si riscuote nemmeno per un evento memorabile come l’incontro con un extraterrestre. E così abbiamo il reporter (Jason Schwartzman) che continua a fare foto che spera di vendere, la diva (Scarlett Johansson) che continua a provare le proprie scene, il cantante country (Rupert Friend) che non trova nulla di meglio che comporre una ballata sugli alieni e ovviamente il solito militare ottuso (Jeffrey Wright)che cercano in maniera grottesca di gestire la situazione in base a improbabili regolamenti direttive.
Eccovi il trailer
Ma aspirazioni sociologiche a parte, il risultato è una sorta di multicolore anestesia di un’ora e quaranta, nella quale il pubblico deve dimostrare tutto il proprio coraggio per non cadere (come successo al signore vicino a me) in letargo, tra dialoghi intellettualoidi senza capo ne coda che il cast all star che recita, tranne il povero Tom Hanks, orbo in una terra di ciechi, con la stessa enfasi di uno che legge le previsioni meteo e tentativi di umorismo talmente grossolano (l’attore che per aprire la finestra ne rompe il vetro o il presentatore dello show e si scusa per essersi intromesso in una scena della commedia) che al confronto i cinepanettoni sono film d’autore.
Certamente è tutto voluto, ma sorge lecita la domanda? Perché? Per comunicare in maniera umoristica l’indifferenza delle persone su ciò che succede? E allora perché ambientarlo nel passato. Una satira degli anni ’50? e quali? Quelli rappresentati nei film o quelli veri? Non si sa. Ed Anderson sembra nemmeno essere interessato a farcelo sapere preferendo relegare i personaggi nei loro stereotipi anziché, come fatto in The French Dispatch sebbene con risultati deludenti, cercare di dare originalità alle loro singole storie e disinteressandosi completamente di quella principale abbandonata al proprio nonsense e alla letargia narrativa.
Xavier Dolan ha annunciato tristemente il ritiro dalla regia perché nessuno “guarda più i suoi film” fossi in Anderson prenderei provvedimenti prima accada o che il pubblico comincia ad addormentarsi prima della fine dei titoli di testa.
Andrea Persi