Spesso si dice che il terrorismo è un pretesto dietro il quale si celano altri scopi.

Certamente è così nel Cinema dove l’argomento spesso o è un pretesto per roboanti action movies più o meno conditi di spirito retorico (come Giochi di Potere o 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi) o per drammi che cercano di riflettere sulle cause e i retroscena veri o presunti (come il nostro Romanzo di una strage o L’ombra del diavolo).

Un tentativo di mescolare entrambi i generi è, invece, quello realizzato con quest’opera, tratta dalla storia di un vero attacco terroristico e diretta dal regista di cortometraggi Anthony Maras, qui anche sceneggiatore assieme a John Coleen (Master & commander, Happy feet), con la fotografia di Nick Remy Matthews e le musiche di Volker Bertelmann (Lion, In a dubious battle).

Il 26 novembre 2008, la città di Mumbai è vittima di una serie di violenti attentati. Tenuti prigionieri dai terroristi all’interno del prestigioso Taj Mahal Palace Hotel, lo staff e gli ospiti, tra cui il cameriere Anju (Dev Patel), il capocuoco Oberoi (Anupam Kher), i giovani sposi e neogenitori David (Armie Hammer) e Zahara (Nazanin Boniadi) e il magnate russo Vasily (Jason Isaacs), faranno di tutto per salvare se stessi e gli altri ostaggi.

Maras utilizza la sua esperienza nei corti per assemblare un film a incastro in cui le diverse micro storie si uniscono e si separano continuamente, simboleggiando la stessa frantumazione del microcosmo dell’hotel da ambiente di ordine ed eleganza a luogo di caos e morte, in cui, come nel labirinto di Minosse il pericolo si può celare dietro ogni angolo, frequenti sono, infatti, le scene che, come in un horror, utilizzano il falso senso di sicurezza per creare efficaci momenti di tensione. Nonostante il cast di primo piano, il regista non si preoccupa troppo della caratterizzazione dei personaggi, preferendo che sia l’azione scenica a definirli. Così se da un lato David e Vasily appaiono, soprattutto il secondo, talmente stereotipati da apparire quasi macchiettistici, largo spazio viene lasciato alle sequenze che mettono in luce la dignità e il coraggio dello staff dell’hotel, rappresentante, sopratutto nei personaggi di Oberoi e Anju, la civiltà che si contrappone alla barbarie incarnata da ragazzi che non sanno nemmeno come funziona un water e che proprio per questa loro inconsapevolezza del mondo vengono facilmente manipolati da invisibili mandanti che li convincono che sia nobile e giusto uccidere e morire in nome di un Dio al quale neppure i loro capi credono davvero, ma che costituisce un valido alibi per i loro obiettivi.

La storia insomma abbandona la dimensione personale dei protagonisti per diventare rappresentativa di uno scontro tra umanità e disumanità che sembra caratterizzare i tragici fatti del terrorismo contemporaneo e che la rende una pellicola originale oltre che ben diretta.

Andrea Persi

 

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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