Si dice che “chi primo arriva meglio alloggia” e sembra che questo valga anche per il mondo dei cinecomic dove la Marvel, che ha iniziato la trasposizione filmica dei suoi personaggi nel 2008 con Iroman di Jon Favreau, spadroneggia perfino con super eroi di nicchia come l’irriverente Deadpool, a scapito della DC Comics, il cui primo film, Man of Steel è uscito solo nel 2013 (quando i rivali erano già arrivati al terzo Iroman e al primo Avengers), e che tuttora sembra arrancare, non riuscendo a inserire in storie altrettanto valide i ben più iconici Superman, Batman e Wonder Woman.
Andati così così il crossover tra Batman e Superman (che ci ha lasciato soltanto la consapevolezza che le madri dei due paladini avevano lo stesso nome che Gotham e Metropolis sono tipo la sponda magra e la sponda grassa del Lago Maggiore) e il primo Justice League, la DC ci ha provato con Suicide Squad, proponendo la storia di un gruppo di villain costretti a fare fronte comune contro cattivi ancora più cattivi di loro. Un esperimento che ottenuto un discreto successo di pubblico, ma critiche disastrose. Ma la DC, incoraggiata dal mezzo successo (del resto come dice JJ Abrams riferendosi alla sua trilogia di Star Wars “non si può piacere a tutti”) ha deciso, in attesa del nuovo Batman con Robert Pattinson, di lanciare uno spin off del pellicola, incentrata sul personaggio di Harley Quinn (psicopatica e sexy eterna fidanzata del Joker) e sul un gruppo supereroistico tutto al femminile delle Birds of prey, diretto da Cathy Ian, per la sceneggiatura di Christina Hodson (Shut In, Bumblebee), la fotografia di Matthew Libatique (The Circle, A star is born) e le musiche di Daniel Pemberton (Ocean’ 8, Spider-Man – Un nuovo universo).
Dopo essere stata lasciata dal Joker, l’ex psichiatra Harleen Quinzel, alias Harley Quinn (Margot Robbie), finisce coinvolta, assieme alla poliziotta Renee Montoya (Rosie Perez), alla cantante Dinah Lance (Jurnee Smollett-Bell), alla ladruncola Cassandra Cain (Ella Jay Basco) e alla misteriosa “Cacciatrice” (Mary Elizabeth Winstead), negli intrighi del potente Roman Sionis (Ewan McGregor) che aspira a diventare il nuovo boss assoluto della malavita di Gotham.
Film (si fa per dire) di rara bruttezza che confonde i cinecomics con i cartoni animati dei Looney Tunes e che, tentando pacchianamente di strizzare l’occhio, tra analessi narrative e splatter un tanto al chilo, ai film di Tarantino, alterna carrellate di scene d’azione degne delle improbabili acrobazie di Leslie Nielsen in Una pallottola spuntata a dialoghi (sempre per modo di dire) senza capo né coda tra personaggi che sembrano scappati da un nosocomio per psicopatici con la sindrome di Peter Pan al punto che la taccheggiatrice Cain sembra il personaggio più normale di una storia il cui sceneggiatore sembra essere morto (probabilmente suicida) subito dopo averne concepito il logorroico e per fortuna dimenticabilissimo titolo. Il film, di si salvano giusto un paio di sequenze dark nel finale, comunque conquista certamente primato per essere la prima pellicola sui supereroi ad avere oggetti inanimati come protagonisti. Se, infatti, Margot Robbie dalla fascinosa Sharon Tate è finita a interpretare, con la relativa mimica e sensualità, una specie manico di scopa pitturato a tempera e le altre protagonisti sembrano temere che i punti del lifting gli saltino se provano a cambiare espressione, Ewan McGregor ha l’aria rilassata di chi, come De Niro in Nonno Zozzone, dopo una vita di buoni film può permettersi pure lui una fetecchia.
Un film che rivaluta le discutibili opinioni del maestro Scorsese sui cinecomic e rappresenta un colossale dito medio a quanti di noi si sono commossi durante il finale di Avengers Endgame e segretamente aspettano di vedere Todd Phillips alzarsi in piedi quando agli Oscar sarà annunciato il vincitore come miglior film
Andrea Persi