A volte la pubblicità “trascina” film che sarebbe meglio che non venissero mai fatti (esempio recente la nuova trilogia di Star Wars) e altre volte stronca film che diventano cult o comunque sono dei buoi prodotti, creando maggiore attenzione per il gossip che gli ruota attorno  piuttosto che per la storia o per la precisazione dei protagonisti. E questo è stato il caso dell’opera seconda di Olivia Wilde, già regista dell’evitabile (anche per il titolo in italiano) La rivincita delle sfigate e famosa per il ruolo della fascinosa Dottoressa Tredici in Dr House.

Infatti, a farla prima dell’uscita del film da padrone sono state: la storia d’amore nata sul set tra Olivia Wilde (già sposata) e il cantante Harry Styles, ex degli One Direction che ricordiamo per piccoli ruoli in Dunkirk e The Eternals, la presunta faida tra la Wilde e la protagonista Florence Plugh (Midsommar – Il villaggio dei dannati, Piccole donne) e il supposto sputo del cantante inglese al coprotagonista Chris Pine (il capitano Kirk dell’universo tamarro di Star Trek) durante l’anteprima veneziana del film.

Una sorta di pubblicità aggressiva per attirare gente al cinema? Forse, ma forse semplice superficialità nel giudicare un film senza prima vederlo.

Jack Chambers (Harry Styles) e sua moglie Alice (Florence Plugh) vivono dell’idilliaca comunità di Victory fondata dal geniale Frank (Chris Pine) che dirige un misterioso progetto governativo a cui lavorano tutti gli uomini mentre le donne sono libere di vivere una vita di agiatezza e frivolezze. Ma una serie di eventi sempre più sinistri, tra cui la pazzia della vicina di casa Margaret (Kiki Layne) conduce Alice a mettere in discussione i motivi della loro vita nella cittadina e i reali scopi del progetto.

La Victory di Olivia Wilde ricorda da vicino la Stepford de La Fabbrica delle mogli di Bryan Forbes (e il suo più famoso rifacimento La donna perfetta di Frank Oz) e anche la storia presenta diverse similitudini, ma giudicare questo film come un mero remake sarebbe ingeneroso come lo è stato concentrarsi sul gossip attorno a esso. Tra riferimenti letterari al Paese delle Meraviglie di Lewis Carrol (la protagonista si chiama Alice e la sua migliore amica, interpretata dalla stessa Wilde, Bunny) e cinematografici, ispirate al grottesco e alla sensualità di David Lynch, la regista costruisce un mondo costantemente in bilico tra l’essere una prigione che segrega la dignità e la libertà umana in cambio di una vita ideale (resa ottimamente anche a livello estetico dall’ambientazione anni ‘50) o semplicemente il parto della mente di una donna instabile.

Alla riuscita di questo gioco di specchi contribuisce l’ottima interpretazione di Florence Plugh (impossibile se si fosse realmente trovata in continuo contrasto con la regista) oltre dei coprotagonisti Harry Styles e Chris Pine.

Il film non è certamente perfetto e la spiegazione finale può apparire banale o prevedibile, ma comunque è una pellicola che merita di essere vista in sala senza farsi influenzare a priori dalla cattiva pubblicità che ha subito.

Di Andrea Persi

Eccovi il trailer

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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