Luc Besson affronta il mito di Dracula con un approccio che unisce melodramma, estetismo e un certo gusto per l’eccesso visivo che da sempre caratterizza il suo cinema. Il risultato è un film ambizioso, spesso ipnotico, ma non sempre equilibrato.
🩸 Una tragedia romantica mascherata da horror
Besson non è interessato a fare paura: il suo Dracula è prima di tutto una storia d’amore totalizzante, dove l’immortalità diventa una condanna emotiva più che una forza soprannaturale. Dracula è un personaggio tragico, segnato da una malinconia che sovrasta la sua natura di predatore.
La parte più riuscita del film è proprio questa: il vampiro non è solo un’icona pop, ma una creatura che soffre, desidera, e si aggrappa disperatamente a ciò che resta della sua umanità. Le scene più intime sono tra le più potenti e mostrano un controllo registico sorprendente.
🌙 Estetica teatrale: incantevole e a volte ridondante
Besson punta tutto sull’impatto visivo:
- scenografie elaborate
- costumi barocchi
- giochi di luce da opera lirica
- simbolismi religiosi distribuiti ovunque
È un film che “ti guarda negli occhi” e pretende di essere guardato allo stesso modo.
Questo però è un’arma a doppio taglio: quando la regia si abbandona al virtuosismo per il gusto del virtuosismo, alcune sequenze risultano più ornamentali che necessarie, quasi videoclip generosi più che parti di un racconto compatto.
⚡ Una sceneggiatura che inciampa nelle sue ambizioni
La narrazione è un continuo oscillare tra intenzione drammatica e slancio spettacolare.
Funziona bene quando resta concentrata sul conflitto interiore di Dracula, meno quando cerca di ampliare il mondo del film con trovate che sembrano voler modernizzare il mito ma finiscono per sembrare stonature fantasy.
Alcuni dialoghi hanno una certa intensità poetica, altri cadono nel melodramma involontario: c’è sempre la sensazione che Besson stia puntando molto in alto, ma non sempre le parole sono all’altezza dell’immagine.
🦇 Cast: un vampiro magnetico, personaggi secondari meno incisivi
Il protagonista tiene in piedi l’intero film con un’interpretazione che oscilla tra ferocia e vulnerabilità. Lo sguardo è perennemente in bilico tra desiderio e tormento: è un Dracula che lascia il segno.
I comprimari, però, non hanno la stessa solidità. Molti personaggi sembrano funzionare come simboli o funzioni narrative, non come individui con una psicologia autonoma, e questo limita l’empatia su cui il film sembra voler contare.
🎭 Il nodo centrale: poesia o kitsch?
Il più grande pregio — e difetto — del film è lo stesso:
Besson non ha paura di esagerare.
Per alcuni spettatori questo renderà Dracula un’esperienza esteticamente affascinante, un’ode al romanticismo gotico con momenti di pura bellezza. Per altri diventerà un film che scivola nel kitsch, troppo lungo, troppo teatrale, troppo… “Besson”.
⭐ Verdetto finale
“Dracula” (2025) è un’opera visivamente sontuosa e narrativamente imperfetta, dove il cuore del racconto — una storia d’amore impossibile — è forte, ma il contorno a volte soffoca ciò che di più autentico il film avrebbe da dire.
È un Dracula meno spaventoso, più sensuale e dolente.
Un film che incanta e irrita, spesso nello stesso momento.
Un’opera che vale la visione se si accetta di immergersi in un romanticismo oscuro, melodrammatico, intensamente stilizzato.
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