Dopo un lungo silenzio e due ultimi film non esalanti, Baz Luhrmann torna dietro la macchina da presa per confrontarsi, in un biopic che ha tanto il sapore per lui di un all in pokeristico, con il mito della musica rock americana e mondiale.

Mentre giace del suo letto di ospedale l’anziano colonnello Thomas Parker (Tom Hanks), rievoca la carriera di Elvis Presley (Austin Butler) di cui è stato manager, dagli esordi al successo mondiale, fino al malinconico declino.

Trent’anni fa il geniale Steven Spielberg, immaginò un Peter Pan adulto (interpretato dal compianto Robin Williams) che vive un’esistenza normale nel nostro mondo e otto anni dopo il nostro Sergio Bonelli recuperò la stessa idea per un fumetto di Dylan Dog, narrando di come tutti i personaggi dell’Isola che non c’è l’avessero abbandonata per raggiungere “il mondo che c’è”. Luhrmann racconta il suo film in maniera analoga, ambientando lunghe sequenze in quel grande parco giochi che è Las Vegas (dove Parker vivrà il resto della vita) e caratterizzando i suoi personaggi in maniera analoga all’opera di James Barrie. Elvis è il bambino che non vuole crescere, temendo in caso contrario di perdere la capacità di volare (ovvero di incantare le folle con la sua musica) mentre Parker è il pirata dal passato losco, interessato solo al bottino (ovvero a ciò che può guadagnare dal talento del cantante, emblematica in questo senso la scena in cui commercializza gadget sia a favore che contro Presley). Due personaggi opposti, sognatore il primo, bieco materialista in secondo, ma allo stesso tempo prigionieri di un circolo vizioso e destinati, tra sporadici quanto velleitari tentativi di ribellione del cantante (si veda la scena del concerto di Natale) e subdole ripicche del manager, a restare uniti come gli evasi de La parete di fango di Stanley Kramer, uniti dalla catena invisibile del bisogno reciproco.

Questa inedita versione del rapporto tra il re del rock e il suo agente (forse non del tutto aderente alla realtà) costituisce il fulcro narrativo di una pellicola arricchita dal collaudato stile di Luhrmann fatto di bruschi stacchi di montaggio, scenografie sontuose e teatrali (si veda la ricostruzione della celebre Beale Street di Menphis) e di una imponente  musica costituita da brani classici dell’epoca (tra cui If i can dream interpretata dai Måneskin) che questa volta non è funzionale (come ad esempio in Romeo + Giulietta) a creare un effetto straniante dall’universo narrativo, quanto piuttosto a ricostruire l’influenza che la musica nera ebbe su Elvis e il suo rapporto con artisti contemporanei come B.B. King e la regina del Gospel Mahalia Jackson.

Sotto il profilo recitativo Tom Hanks si conferma uno dei più grandi attori di Hollywood per la facilità di calarsi in qualsiasi personaggio mentre il quasi sconosciuto Austin Butler (che vedremo nel prossimo capitolo di Dune nel ruolo, che fu di Sting, del perfido Feyd-Rautha Harkonnen), offre a tutti una lezione di bravura e professionalità con una performance notevole, in cui lo spettatore riesce a percepire tutto l’impegno (e la dedizione) che ci vogliono per recitare.

Elvis è un ritorno in grande stile di uno dei più innovativi registi contemporanei le cui due ore e quaranta scivolano via a ritmo di rock. Scommessa vinta per Luhrmann e gioia (visiva e non solo) per gli spettatori.

Andrea Persi

Eccovi il trailer in Italiano

author avatar
giubors
“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey
Share.

“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

Leave A Reply