Illustre vittima italiana della quarantena è il film (vincitore del festival di Berlino per la migliore sceneggiatura), scritto e diretto dai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo (La terra dell’abbastanza) per la fotografia di Paolo Carnera (Bevenuti al Sud, Suburra) e le musiche tratte dalle composizioni del maestro Egisto Macchi, che ha dovuto rinunciare all’uscita nelle sale per il noleggio in streaming sulle piattaforme Chili, Google Play, Rakuten Tv ed Infinity.

In un quartiere residenziale della periferia di Roma, i figli preadolescenti degli abitanti subiscono le frustrazioni e il vuoto esistenziale dei genitori (Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta) divisi tra la rassegnazione per un destino apparentemente inevitabile (quello di diventare come gli adulti) e il disperato desiderio di proteggere la loro innocenza.

La brillante idea di partenza, ossia di rappresentare un microcosmo urbano, emotivamente ancora più disagiato della periferia del precedente film (la quale fa capolino sia all’inizio che alla fine della storia, prima per suggerire allo spettatore una presunta diversità, poi per rafforzare e sottolineare l’acquisita disillusione al riguardo), popolato di adulti (soprattutto i padri) infantili e meschini e bambini terrorizzati da loro, ma più ancora dalla prospettiva di diventare come loro, arricchita di buone soluzioni narrative come il un manzoniano narratore anonimo (a cui presta la voce Max Tortora) o i colpi di scena finale e in media res, non evita però che il film soccomba al citazionismo estremo (in particolare del Cinema di Terrence Malick e di Ari Aster con la loro fotografia allucinata e le musiche stordenti), ai falliti tentativi di creare l’illusione, che si infrange al primo intercalare dialettale, di un contesto favolistico e alla fastidiosa percezione che i registi, scodellata l’idea di base, si limitino a ribadirla per l’intera durata della pellicola come se dicessero: “la trovata è talmente buona che basta riproporla per un’ora e quaranta”, finendo così con l’incagliarsi in una storia che per rendere insondabile allo spettatore la mente dei bambini (sia pure come ricostruita dal narratore adulto) finisce col rendere superficiale e stereotipata ogni rappresentazione dei personaggi, su cui svetta, comunque, quello interpretato da un bravissimo Elio Germano.

Sebbene ben oltre la sufficienza per originalità e stile, il film dei fratelli D’Innocenzo non riesce a coinvolgere realmente lo spettatore, limitandosi a “colpirlo” di tanto in tanto

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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