Si allenta l’isolamento ma la ripresa degli spettacoli al Cinema deve ancora arrivare e giungerà con tutte le incognite e le difficoltà che molte altre categorie stanno già affrontando.
Nel frattempo cerchiamo di ricordarci perché amiamo l’universo di celluloide, recuperando qualche classico come questa pellicola di John Ford (disponibile su Amazon Prime) la prima della sua trilogia sulla cavalleria americana, con protagonista John Wayne e a cui seguiranno, I cavalieri del Nord Ovest del 1949 e Rio Bravo del 1950, quest’ultimo sequel ideale del primo film, in cui il cineasta del Maine si avvalse della sceneggiatura dell’allora esordiente Frank S. Nugent (Un uomo tranquillo, Cavalcarono insieme) della fotografia di William H. Clothier e Archie Stout e delle musiche di Richard Hageman (Oscar nel 1940 per Ombre Rosse)
Arizona 1864, l’inflessibile e ambizioso colonnello Oswald Turner (Henry Fonda) raggiunge, assieme alla figlia Philadelphia (Shirley Temple), l’avamposto di Fort Apache per assumerne il comando, ma sua indole arrogante e aggressiva verso le tribù indiane del territorio lo metterà subito in contrasto con l’atteggiamento più conciliante del suo sottoposto, il capitano Yorke (John Wayne).
Ford costruisce un eccellente affresco (sebbene non sontuoso come altri suoi film) sulle guerre indiane (troviamo, infatti, all’interno di una cornice di fantasia sebbene ispirata a un fatto reale, personaggi storici come i capi Cochise e Geronimo) e sulla vita quotidiana dei soldati, esaltandone, soprattutto in quelli di grado più basso (lo stesso Yorke ci appare, infatti, in certi momenti antipaticamente spaccone) il senso del dovere, la fratellanza e lo spirito di sacrificio e lasciando davvero uno spazio minimo alla sottotrama romantica tra Philadelphia e il tenente O’Rourke (John Agar), che, anzi, diventa anch’essa funzionale per ribadire la maggiore dignità degli ufficiali di basso rango (il padre del ragazzo, interpretato dal caratterista di lungo corso Ward Bond è infatti un semplice sergente), rispetto a quelli superiori. In maniera analoga il regista, conferma la sua predilezione per “gli ultimi”, anche trattando con grande rispetto, come farà del resto in gran parte della propria filmografia, aprendo così la strada a un approccio storicamente più corretto da parte dei cineasti del cosiddetto “western revisionista” degli anni ‘70, anche gli indiani.
I quali, infatti,vengono descritti come un popolo fiero, vittima degli inganni delle vessazioni dei colonizzatori bianchi, incarnati dalla figura del subdolo agente governativo Silas Meecham (Grant Withers), le cui azioni arrivano a disgustare perfino Turner. Ed è proprio quest’ultimo col suo divenire eroe, antieroe e cattivo nei diversi momenti della storia a rendere questo film in un certo senso unico, grazie a uno straordinario Henry Fonda che riesce a dare credibilità e spessore (relegando praticamente Wayne ai margini) al suo personaggio perfino negli intermezzi comici (si pensi alla scena della poltrona), sparsi qua e là nella pellicola.
Un’ottima opera di un maestro per gli amanti del genere e non solo.
Andrea Persi