Il 19 maggio 1999, ricordando un collega scomparso pochi mesi prima, Steven Spielberg disse: “Ho circa 900 pagine di fax su quella storia che è stata bloccata nel momento in cui Stanley è morto” precisando che di non poter rilevare alcun ulteriore dettaglio perché “Stanley mi prenderebbe a calci se lo facessi”.
Lo Stanley in questione era ovviamente il maestro Stanley Kubrick e del progetto, basato su un racconto fantascientifico dello scrittore Brian Aldiss (Supertoys che durano tutta l’estate), che il cineasta inglese aveva accantonato in attesa che la allora esordiente tecnologia digitale si sviluppasse maggiormente, contenuto in quelle centinaia di fogli di carta, Spielberg non solo ne parlò, ma ne diresse e sceneggiò il successivo film, girato con la fotografia di Janusz Kaminski (Salvate il soldato Ryan, Ready Player One) e le musiche del mitico John Williams, che oggi possiamo vedere (o rivedere) sulla piattaforma streaming Amazon Video.
Nel 2125, lo scioglimento delle calotte polari ha provocato l’innalzamento degli oceani che hanno sommerso molte città del mondo, provocato milioni di morti e costretto i governi a limitare il numero delle nascite per preservare le poche risorse rimaste. In questo scenario hanno assunto un ruolo molto importante gli androidi, denominati Mecha, che, non consumando risorse, sono divenuti fondamentali nella società, pur essendo disprezzati dalla maggior parte degli uomini. I coniugi Henry (Sam Robards)e Monica (Frances O’Connor) il cui figlio (Jake Thomas) è in coma da tempo, decidono di “adottare” il Mecha bambino David (Haley Joel Osment) il quale ben presto svilupperà, soprattutto per la donna, un affetto filiale assoluto e disperato.
Esponendosi alle ire del “caro estinto”, Spielberg, la cui mano rispetto a ciò che avrebbe fatto Kubrick con la novella di Aldiss (la quale essa stessa si chiude con un finale a dir poco cinico) si vede fin troppo chiaramente, banalizza e relega sullo sfondo tutte le tematiche poste dalla storia a cominciare dalla natura autodistruttiva degli uomini e della loro crudeltà verso macchine sin troppo (vedi la scena della “fiera della carne”) gentili e remissive che si manifesta anche nell’incapacità di Monica di ricambiare quell’amore, da lei stessa instillato nel piccolo robot tramite la procedura di imprinting, per raccontare una sorta di favola di Pinocchio 2.0, in cui l’orsacchiotto robot Teddy è il Grillo Parlante, l’automa amante Gigolo Joe (un eccezionale Jude Law) è Lucignolo, lo spietato Johnson-Johnson (Brendan Gleason) Mangiafuoco e il Prof. Hobby (William Hurt) è Geppetto, aggravando l’opera di edulcorazione di un’opera nata con ben diverse intenzioni con un improbabile finale “spileberghiano” che avrebbe probabilmente fatto venire orticaria al regista di Lolita e Full Metal Jacket.
Tuttavia, il film è salvato dal disastro totale dalla consueta maestria del regista di E.T. nello gestire gli effetti speciali visivi e dal fatto che le tematiche maggiormente di ispirazione “kubrickiana” non vengono del tutto abbandonate, ma il risultato complessivo è un’opera discreta che può essere considerata minore nella sterminata filmografia del prolifico Spielberg e che sarebbe stata considerata disastrosa in quella più ricercata di Kubrick, il quale sicuramente ci ha lasciato troppo presto, ma non abbastanza per impedire che il suo ultimo progetto venisse parzialmente vandalizzato, forse più dal buonismo hollywoodiano che dalla volontà di chi lo ha, infine, messo sullo schermo.
Andrea Persi