Dopo un lavoro durato 6 anni, equamente divisi in gruppi di due fra pre-produzione, produzione e postproduzione, è arrivato al Cinema il secondo lungometraggio di Gabriele Mainetti, regista nel sorprendente Lo chiamavano Jeeg Robot, nel quale ritroviamo Claudio Santamaria tra i protagonisti, Nicola Guaglianone alla sceneggiatura, Michele D’Attanasio alla fotografia e Michele Braga alle musiche.

Nella Roma occupata dai nazisti, i circensi Matilde (Aurora Giovinazzo), Cencio (Pietro Castellitto), Fulvio (Claudio Santamaria) e Mario (Giancarlo Martini), ognuno dotato di un potere fuori dal comune, lavorano nel circo dell’anziano Israel (Giorgio Tirabassi), finché questi non scompare misteriosamente. I 4 si mettono alla sua ricerca, ma finiscono nelle mire di Franz (Franz Rogowski) un spietato nazista che vorrebbe sfruttare i loro poteri per cambiare l’esito della guerra.

Cominciamo col dire che per Mainetti non era facile non solo bissare la qualità del primo film, ma sopratutto inventare qualcosa di nuovo. Il cineasta romano però centra entrambi gli obiettivi, creando un caleidoscopio di personaggi uno più affascinante e originale dell’altro, su cui svettano la fragile Matilde, il bizzarro partigiano Il Gobbo, interpretato da Max Mazzota e il villain Franz, non semplice psicopatico assetato di potere come lo Zingaro di Marinelli, ma una sorta di bambino emarginato e roso dal desiderio di farsi accettare da qual regime che venera al punto di snobbare perfino l’amore per la fedele Irina (Anna Trenta).

In una storia fa immediatamente presa sullo spettatore (si veda la scena iniziale), ulteriori elementi di grande fascino (che fanno dimenticare le 2 ore e 20’ di durata) sono l’ambientazione neorealista e allo stesso tempo favolistica nella quale abbondano citazioni (che solo un vero amante del cinema potrebbe fare), che spaziano dai film di Sergio Leone, a Saw l’Enigmista, da Tim Burton (il cui stile surreale pervade tutta la pellisola) a La vera storia di Jack Lo Squartatore e il sapiente utilizzo dei campi medi (vedi la scena del “coro” dei partigiani) e dei primi piani. Certamente c’è qualche lezzo di troppo come l’inverosimile e illogica scena del cannone e alcune inutili squenze trash come quelle in cui evidenziano le doti (non sempre nascoste purtroppo) di Mario, ma sono, assieme all’improbabile idea di fondo che un deforme nel reich nazista possa aver un altro futuro che quello di finire al camposanto, debolezze artistiche che si dimenticano presto specie di fronte a intuizioni geniali come il momento in cui ci viene mostrato il potere di Franz.

Oggi come all’epoca di Jeeg Robot, l’Italia ha candidato un film diverso agli Oscar, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. Non possiamo ancora giudicare la pellicola del regista de La grande bellezza, nei cinema dal 24 novembre, ma chissà che il fatto che a Venezia quest’ultimo ha vinto il premio della Giuria ufficiale mentre Freaks out il Leoncino d’oro della Giuria dei giovani non voglia dire che il futuro è dalla parte di Mainetti.  

Andrea Persi

Eccovi il trailer in Italiano

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey
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