In una Besançon occupata da italiani e tedeschi, la comunista Barny (Emmanuelle Riva), vedova d’un ebreo e madre d’una bambina che, per sicurezza, lascia in pensione ad alcune famiglie di campagna, entra nella Chiesa di San Bernardo per dileggiarne i preti. Nel confessionale esordisce provocatoria: “La religione è l’oppio dei popoli”. Sgrana gli occhi quando si sente rispondere dal sacerdote (Jean-Paul Belmondo): “Non esattamente. Sono stati i borghesi a snaturarla a loro favore”. “Ma voi – replica la donna – li avete lasciati fare, adesso voi e loro siete la stessa cosa”.

“La chiesa ha perso la classe operaia è vero – ammette il prete -, ma noi reagiamo. Uno scioperante cattolico che ha fatto la comunione, continuerà lo sciopero con più decisione. L’ingiustizia fa orrore al cuore del cristiano”. Ne nasce un breve dibattito, sfuggente e lacerante, ma al contempo diretto, durante il quale il prete riesce a confessare la donna, instillando in lei una strana leggerezza, poi le dà appuntamento per approfondire le questioni toccate. Barny scopre così una personalità molto più complessa di quella che immaginava, un giovane prete non conformista che, nel suo piccolo, prova a cambiare la chiesa. Si rivedono mentre la città conosce le deportazioni degli ebrei, il collaborazionismo, l’attività della Resistenza. Il religioso le presta libri ed ogni volta i due discorrono e si punzecchiano su elementi teologici, prove dell’esistenza di Dio e condotta dei cattolici, fino a quando lei si scopre innamorata di lui.

“Léon Morin, prete”, film del 1961 tratto dal romanzo di Béatrix Beck e diretto dal regista francese Jean-Pierre Melville, è una singolare commedia spirituale sulla conversione di una donna. Combattente della resistenza francese, attivo nello sbarco delle truppe alleate nella Francia meridionale, Melville affrontò in modo singolarissimo le sue esperienze per la seconda volta. La prima era stata “Il silenzio del mare”, il suo debutto, nel 1947, un film con un ufficiale tedesco come eroe tragico. Allora sviluppò un gioco di tensioni psicologiche in una casa di campagna dove un anziano e sua nipote subiscono la presenza di un nazista francofilo, idealista e gentile, che parla loro di pace e arte, ma, scoperte le crudeltà di Hitler, sceglie di partire per il fronte in modo da consegnarsi alla morte, ricevendo finalmente una parola – Adieu! – dalla ragazza che aveva sognato di sposare. “L’armata degli eroi”, del 1969, sarà la terza. È una pellicola lontanissima dalla celebrazione dei maquisards, in cui lo spettatore segue le attività di un circolo di cupi partigiani privi di emotività, eroi agghiaccianti in una claustrofobica rete di ombre, delatori e cinismo. Sembra, insomma, che Melville concepisse i mesi d’occupazione nazista della Francia e la sua stessa esperienza di partigiano come il teatro di una tragedia umana psicologica e intima, prima ancora che sociale, politica, materiale.

In “Léon Morin, prete”, poi, ci si aspetterebbe un fosco fotogramma esistenziale, invece, quella leggerezza indotta in Barny dal ritorno alla fede cattolica pervade l’intero film, c’è sempre, quasi ironica, nell’approccio della protagonista al mondo come nella lunga serie di conversazioni di natura teologica e filosofica. Il regista non mostra, infatti, le brutture della guerra, ne fa sentire vagamente l’orrore, e la Resistenza aleggia qui e lì come una presenza vicina ma di cui si sente solo parlare. Sembra mancare di profondità, in realtà tutto ruota sulla solitudine e le sensazioni interiori della protagonista, travolta da domande sul senso della vita, da frustrazione sessuale e, ancor più, da un amore che deve rimanere immateriale perché Morin la respinge con fermezza più volte, fino al finale intenso e drammatico che contrappone la donna piangente ad un sacerdote fermo nel suo codice.

In tutto il film le emozioni pulsano sotto la superficie, i gesti acquisiscono un’eloquenza improvvisa, tutto è interiorizzato, nonostante spesso si segua la voce narrante di Barny che, come le sue amiche, vive in realtà sentimenti alterati dalla solitudine e dal difficile contesto. Del prete sa poco in vero. L’interiorità dell’uomo le resta completamente celata, la sua castità risulta provocante, i suoi modi, spesso bruschi, sono mal decifrati. Morin è solo un prete progressista, non si attiene a rituali, tradizioni e credenze prive di significato, detesta le ipocrisie e i bigotti, ma non ha spazio per i sentimenti che Barny vorrebbe che provasse, non infrangerebbe mai i suoi voti, né penserebbe di abbracciare la chiesa protestante per sposarsi, come gli suggerisce la donna. Non è solo il trionfo dello spirito sulla carne.

 

 

 

 

Angelo D’Ambra

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Angelo D'Ambra
Angelo D'Ambra, saggista, laureato in Scienze Politiche, anima il portale di divulgazione storica historiaregni.it, scrive di storia nordamericana per farwest.it e si occupa di critica cinematografica e musicale per planetcountry.it e passionecinema.it.
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Angelo D'Ambra, saggista, laureato in Scienze Politiche, anima il portale di divulgazione storica historiaregni.it, scrive di storia nordamericana per farwest.it e si occupa di critica cinematografica e musicale per planetcountry.it e passionecinema.it.

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