I cosiddetti “uomini in nero”rappresentano uno degli elementi centrali di tutte le teorie del complotto, sia ufologiche che non e vengono rappresentati come una sorta di garanti dello status quo, si vedano gli agenti della trilogia di Matrix o quelli protagonisti dell’italianissimo sceneggiato del 1967 Extra, con Vittorio Mezzogiorno, il cui compito è quello di nascondere al mondo realtà assurde e sconvolgenti. Naturalmente se anziché di assurdo parliamo di assurdità la funzione e il lavoro degli uomini in nero possono diventare facilmente parodistici come li descrisse il regista Barry Sonnenfeld, nel lontano 1997, creando la commedia fantascientifica (senza supereroi) di maggior successo commerciale che oggi, in una Hollywood sempre alla ricerca di storie nuove che finisce puntualmente per rigurgitare quelle vecchie, viene riproposta per la regia di F. Gary Gray (Fast & furious 8), la sceneggiatura di Art Marcum e Matt Holloway (Transformers: The Last Knight), la fotografia di Stuart Dryburgh (Ben is back) e le musiche di Danny Elfman.

La giovane e brillante Molly (Tessa Thompson) dopo averli visti per caso in azione da bambina, ha dedicato la vita a cercare di entrare nella segretissima organizzazione dei Men in black. Riuscita a farsi accettare da capo del gruppo, l’agente O (Emma Thompson), la giovane collaborerà con l’esperto agente T (Liam Neeson) e lo spericolato agente H (Chris Hemsworth), per sventare una micidiale minaccia aliena.

Gray parte sparando una sequela di antefatti apparentemente non collegati tra loro che dovrebbero creare curiosità nel pubblico, ma che in realtà fanno solo capire che H è destinato a farsi male da solo per tutta la pellicola, peggio di Ash Williams de La casa e che Molly probabilmente è stata adottata, visto quanto babbei sono i suoi genitori. Esaurito questo tentativo di “figaggine” registica, inizia il festival mondiale (del resto la pellicola è “international” mica a caso) dello stereotipo con la consueta improbabile coppia di agenti male assortita, coinvolta in un complotto i cui gli scopi e retroscena diventano chiari già a metà del film e che si salvano dalle situazioni più disperate in maniera talmente inverosimile e grottesca che al confronto la trama di un film dei Fratelli Marx sembra un testo di Alberto Angela. Se Hemsworth, dopo le buone performance comiche nella recente versione al femminile di Ghostbusters e in Avengers – Endgame, qui appare talmente privo di verve da sembrare imbalsamato, il personaggio della Thompson (Tessa), alterna momenti alla “so tutto io” dell’Hermione Granger dei primi Harry Potter, ad altri in cui ne sembra la versione infoiata vista nel disastroso Principe mezzo sangue, riuscendo a risultare, in entrambi i casi, antipatica quanto Dolores Umbridge.

Ennesimo drammatico e pasticciato caso di reboot sicuramente evitabile. La creatività di degli autori della Mecca del Cinema sembra sempre più in preda a una sorta di apocalisse zombie in cui al posto delle idee dominano i morti viventi di quelle alla base di successi del recente passato.

Andrea Persi

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giubors
“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey
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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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