La vita del fisico Robert Oppenheimer (Cillian Murphy), dalla giovinezza fino alla maturità, passando per gli anni della seconda guerra mondiale e alla creazione della bomba atomica.
Un Nolan “freudiano” che sembra ossessionato dalle dimensioni più di Bruce Ismay (Jonathan Hyde) nel Titanic di James Cameron, realizza un biopic, basato sul libro Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin, lunghissimo, lentissimo e confusionario che segue la vita dello scienziato dagli studi all’età adulta, raccontandola attraverso l’inchiesta che lo vide coinvolto nel dopoguerra per le sue simpatie di sinistra e, parallelamente, alla procedura di conferma, girata con un significativo bianco e nero, quale segretario al commercio del direttore dell’Agenzia per l’energia atomica Lewis Strauss (Robert Downey Jr) alternando il tutto, in perfetto stile Nolan, con una serie di flashback, flashforward e suggestioni oniriche, si veda la scena del discorso per celebrare la sconfitta del Giappone che ricorda quasi “la cavalcata atomica” del maggiore King Kong (Slim Pickens) ne il Dottor Stranamore, che a poco a poco svelano la storia allo spettatore.
Eccovi il trailer
Un film, come si diceva, però confusionario che inizia linee narrative (il fratello minore di Oppenheimer, l’amico Haakon Chevalier, i vari episodi di infedeltà coniugale del fisico) per poi lasciarle incompiute, in un desiderio di essere esauriente che si scontra però con quello di esaltrare per il protagonista eccentrico ed egocentrico (perfetto stereotipo del genio già propinato al pubblico più volte da film come A beuatiful mind a The imitation game) ammirato e rispettato, fin giovane, dai più grandi scienziati e politici come Hans Bohr (Kenneth Branagh), Roosevelt e perfino dal futuro presidente Kennedy e addirittura dalla moglie più volte tradita (Emily Blunt), ma osteggiato da personaggi cinici come padre della bomba all’idrogeno Edward Teller (Benny Safdie) e dal presidente che sganciò le atomiche sul Giappone, Truman (Gay Oldman).
Nella seconda parte, girata come una specie di film di propaganda degli anni ’40, seguiamo il lavoro dello scienziato a Los Alamos, tra incomprensibili e superficiali spiegoni scientifici (potevano chiamare Alberto Angela) e contrasti con la burocrazia militare ma con l’appoggio del capo del progetto, il generale Groves interpretato da un panciuto Matt Damon che, superfluo dirlo, finisce anche lui (come tutti i “buoni” della storia) per stimare devotamente Oppenheimer.
Infine, l’ultima parte ci racconta del dopo guerra con l’ingiusta (certamente per Nolan) esclusione dello scienziato dal progetto nucleare americano, girata come un legal thriller senza tribunale ma con complotti (più immaginati dal regista che documentati) che farebbero impallidire i personaggi de Il trono di spade.
Malgrado tutta questa “pesantezza”, a cui Nolan sembra tentare di porre rimedio tenendo sveglio lo spettatore con un sonoro da concerto heavy metal, il film viene in parte riscattato, dall’ottimo cast (Murphy ma, soprattutto, Robert Downey Jr), dall’intrigante finale, da alcune scene visivamente notevoli (soprattutto quelle che riguardano gli scrupoli morali del protagonista per la creazione della bomba) e dalla consueta abilità estetica del regista britannico che anche stavolta, come in Dunkirk, non riesce però, a evitare di strizzare eccessivamente l’occhio alla retorica.
Un “Nolan” non eccelso, ma pur sempre un “Nolan”.
Andrea Persi