L’ultimo atto della “golden age” del western italiano fu scritto nel 1978, quando Giuliano Gemma interpretò il protagonista della terza pellicola spaghetti di Lucio Fulci, il cacciatore di taglie Roy Blood, meglio noto come “Sella d’argento”.
A Cerriotts, al confine texano, Thomas Barrett (Ettore Manni), dopo aver perso i suoi soldi al gioco, fa di tutto per accaparrarsi la restante parte dell’eredità del suo defunto fratello Richard e si spinge sino al tentativo di far uccidere Thomas Jr. (Sven Valsecchi), suo nipote. Con l’aiuto di Turner, caposquadra del ranch che sogna di sposare l’ereditiera Margaret (Cinzia Monreale), sorella del piccolo, assolda il pistolero Roy Blood che va all’appuntamento convinto che il Barrett da uccidere sia un vecchio barone della terra con cui aveva un conto in sospeso. Quando si accorge che si tratta invece di un bambino e che diversi sono gli uomini pronti a far fuoco su di lui, lo porta in salvo. Disinteressato alla sua sorte, lo abbandona con solo un coltello e una coperta. Il bambino viene salvato da un personaggio truffaldino, un certo “Serpente”, e Blood si decide a prenderlo sotto la sua custodia. Il pistolero lo nasconde nel bordello di una sua ex, Shiba (Licinia Lentini), che ha liberato dalle estorsioni della banda di Garrincha. Quel posto è però frequentato pure da Turner che scopre il bambino e allora Blood lo porta al sicuro al monastero di San Jacinto prima di tornare ad affrontare Turner e ad ucciderlo. Nel frattempo, al monastero, Garrincha, in combutta con Thomas Sr., uccide tutti i sacerdoti e prende in ostaggio Thomas Jr. per il quale chiede alla famiglia 10.000. Blood viene arrestato dallo sceriffo (Phillppe Hersent) che lo ritiene autore del misfatto, ma è proprio lui a correre a liberare il piccolo, smascherando poi i piani dello zio.
Le riprese principali si svolsero ad Almería, in Spagna, sotto la direzione del direttore della fotografia Sergio Salvati, la sceneggiatura è di Adriano Bolzoni.
Sorprendentemente privo di scene sanguinolente, il film rappresenta un’anomalia nella produzione fulciana. Non mancano certamente elementi e situazioni che il regista avrebbe potuto sviluppare secondo il suo talento, ricorrendo all’allucinata violenza esplicita. Si pensi anzitutto il personaggio di Snake, interpretato da Geoffrey Lewis, o il passo in cui Aldo Sambrell, nella veste del prepotente Garrincha, frusta il bambino, ma certe soluzioni risultano sempre smorzate sul nascere, in favore di momenti di tenerezza e affetto. La valorizzazione dell’amicizia tra un uomo e un bambino è il tema che assorbe tutto. Si ottiene così un risultato più ordinario, anzi pudico pure rispetto alle pellicole di altri registi, in cui la brutalità parossistica è accantonata, l’efferatezza è risparmiata, persino un bordello diventa un tranquillo ostello. Fulci porta a compimento un film leggero, molto fluido e dai toni familiari, rafforzati dal protagonismo di un bambino che trasforma Roy, da cinico pistolero a giudiziosa e matura figura dai tratti paterni. Da un uomo che si chiama Blood, cioè “sangue”, ci si aspettava sicuramente altro.
Le musiche di Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera, nonché il continuo soffio del vento che si ascolta in buona parte del film, imprimono una venatura nostalgica al lavoro di Fulci, come se si avesse la consapevolezza che il genere fosse al crepuscolo. Gli scenari malinconici più che desolati, la sensazione rarefatta di emozioni covate in silenzio e il dominio dei cieli plumbei destrutturano subito il classicissimo incipit spaghetti. In effetti, il lasciar sopraffare l’antieroe dal candore di un bambino è uno stratagemma che fa ritornare gli italiani ai valori etici del western americano. La pellicola svela una inattesa esaltazione dell’innocenza dell’avventura pura, Gemma quasi incarna il Wayne paterno e protettivo dei western anni Settanta.
La sella che dà il titolo al film ed il soprannome al cacciatore di taglie, è quella che questi sottrasse, da bambino, allo scagnozzo di Richard Barrett, assassino di suo padre. In una intervista, l’attore romano raccontò di averla comprata a sue spese, a New York, completa dei pesanti ornamenti d’argento che nel film non usò. C’è da scommettere che tanti pagherebbero pur di ammirare questo cimelio.
Angelo D’Ambra