Una domanda che da fan mi sono fatto di recente è stata: in quale momento gli ormai nove film che abbiamo visto nell’arco di oltre 30 anni hanno cessato di essere “la saga di Guerre Stellari” e ne sono diventati un mero capitolo, incentrato sulla famiglia Skywalker? La risposta, potrebbe banalmente essere: “da quando Topolino ha messo le sue mani inguantate sul franchise, deciso a sfruttare il più possibile l’universo lucasiano”. Giusto, ma per dirla come Russel Crowe in A beautiful mind, incompleto. Sì, perché è difficile pensare che a ciò non abbiano contribuito anche i risultati della nuova trilogia targata J.J. Abrams, che dopo l’interludio della pellicola realizzata da Rian Johnson, torna per dirigere e sceneggiare, assieme a Chris Terrio (Argo, Justice League) e con l’ausilio di Daniel Mindel (Mission Impossibile III, John Carter) e di John Williams alle musiche, l’episodio finale di cui beccatevi subito la trama.
Circa un anno dopo gli eventi del precedente film, la galassia è scossa da un messaggio del defunto imperatore Palpatine (Ian McDiarmid) in cui il tiranno preannuncia il suo ritorno e la restaurazione dell’impero. Per questo Rey (Daisy Ridley) interrompe il proprio addestramento Jedi sotto la guida del generale Leila Organa (Carrie Fisher) e parte alla ricerca del potente signore dei Sith assieme agli amici Poe (Oscar Isaac), Finn (John Boyega) e Chewbacca (Joonas Suotamo) e ai droidi BB8 e C-3PO (Anthony Daniels). Ma anche Kylo Ren (Adam Driver) nuovo Leader Supremo del Primo Ordine vuole scovare Palpatine per capirne i segreti.
Un’ulteriore domanda che sorge spontanea vedendo il film è perché, se, come dicono, Gli ultimi Jedi è stato un successo sia di critica e pubblico, Abrams abbia elaborato uno script che praticamente ignora tutti gli eventi del capitolo precedente e ne riduce i personaggi, a cominciare da quello di Rose (Kelly Marie Tran), a mere comparse.
La risposta sta nel tentativo, che probabilmente ha motivato anche l’improbabile ritorno dell’Imperatore (va bene che è un Lord Sith, ma è pur sempre stato buttato nel reattore della seconda Morte Nera che dopo 30 secondi è esplosa in miliardi di pezzi), di recuperare le atmosfere della trilogia classica, cosa che in parte gli riesce, sopratutto a proposito la natura spirituale della Forza quale legame universale tra le cose viventi che travalica lo spazio e il tempo. Ma, come già successo in altre opere del regista, il percorso narrativo per giungere a tale felice approdo è costellato da assurdità e balordaggini di caratura olimpica tra cui, rullo di tamburi, ricordiamo:
1) le sequenze iniziali sul Millennium Falcon, penosamente scopiazzate da Episodio IV e la successiva fuga in stile “zapping televisivo” (Abrams sembra proprio non capire che, nonostante l’utilizzo degli stessi effetti speciali, l’iperspazio in Star Wars non funziona come la velocità curvatura di Star Trek);
2) il dispositivo distruggi pianeti sempre più small (tra poco lo faranno in pillole);
2) Leila, che come il principe Giovanni del Robin Hood di Mel Brooks, ordina a un pilota di darle le cattive notizie in modo piacevole;
3) l’attempato e panciuto Lando Carlissian (Billy Dee Williams)che in tipo 5 minuti rinfocola lo spirito guerriero dei popoli liberi della galassia, nonostante in Episodio VI a momenti non veniva filato nemmeno dal proprio equipaggio;
4) Gli infantili dialoghi tra Finn, Poe e Rey (per non parlare della recitazione degli attori) e quelli ancora più imbarazzanti tra quest’ultima e Kylo Ren per i quali la Forza, già divenuta una sorta di videotelefono ora si evolve in corriere Amazon;
5) Lo stiracchiato espediente con cui i buoni scoprono l’esatta localizzazione della base dei cattivi;
6) La sotto trama riguardante C-3PO, smerciata nei trailer come sequenza ad alto tasso di drammaticità ma subito rivelatasi come pietoso siparietto comico;
7) L’intera caratterizzazione del risorto Palpatine, capace di ingannare la morte, ma totalmente inetto nel nascondere i suoi segreti e i suoi piani ai propri nemici.
E si potrebbe proseguire ancora. Nel complesso, insomma, anche questo film come i precedenti sconta il peccato originale di ritenere lo spettatore\fan un povero tontolone a cui basta propinare cose già viste “incartate” in effetti speciali patinati. Un preconcetto smentito dal fatto che Abrams abbia provato a rimediare agli errori passati, ottenendo un prodotto mediocre come gli altri, ma tutto sommato migliore che però probabilmente risentirà dello scarso traino del film precedente, ben diversamente da quanto accade per Episodio VI con Episodio V.
Quindi, mentre il creatore di Lost e il resto del cast si avviano mestamente verso l’uscita dal franchise, garbatamente indicatagli dalla produzione, possiamo dire che non solo la Disney mira a trasformare i film precedenti in un mero frammento di un universo narrativo più grande per sfruttare al massimo le potenzialità di Star Wars, ma anche a far dimenticare più in fretta possibile una trilogia poco amata, se non apertamente detestata dal pubblico. Il tutto nell’attesa che arrivi un Godot (probabilmente nelle sembianze di Jon Favreau, creatore della serie The Mandalorian) quantomeno più rispettoso dei gusti degli spettatori che dovrà intrattenere.
Andrea Persi