Come s’intravede nelle prime immagini dell’imminente Joker con Joaquin Phoenix il processo per rendere il pubblico empatico verso un personaggio negativo, si basa, in primo luogo nel rappresentare una società così corrotta in cui le azioni del cattivo trovano quasi una ragione d’essere. È successo con Hannibal Lecter, circondato da medici sadici, poliziotti avidi e vittime più perverse di lui e ancora di più  con Alexander DeLarge in Arancia Meccanica il cui  “innocente sadismo” è sublimato da una società che si regge sulla violenza e l’apatia. Il documentarista Joe Berlinger ha invece deciso di raccontarci il fascino e la fascinazione che il male produce sugli altri da un diverso punto di vista narrando la vicenda del serial killer Ted Bundy, condannato per 36 omicidi di giovani donne, ma ritenuto responsabile di almeno il doppio dei delitti, dal punto di vista della sua giovane fidanzata Elizabeth Kendall, sul cui libro è basata la sceneggiatura, scritta da Michael Werwie  mentre alla fotografia troviamo Brandon Trost (Cattivi vicini, Disaster artist) e alle musiche Marco Beltrami (la saga di Scream, Logan – The Wolverine) e Dennis Smith.

Seattle 1969. La giovane madre single Liz (Lilly Collins) conosce l’affascinante Ted (Zac Efron) e se ne innamora. Tutto sembra andare per il meglio, finché l’uomo non viene accusato di essere responsabile del rapimento e dell’omicidio di numerose ragazze in tutti in tutto il Paese. Nonostante Ted si professi innocente, Liz dovrà molto presto a fare i conti con la possibilità che l’uomo che ama sia un mostro e di dover lottare per riprendersi la propria vita.

Berlinger ci racconta la storia di uno degli assassini più efferati e sadici del ventesimo secolo, non indugiando troppo sui suoi motivi e sulla violenza delle sue azioni ma concentrandosi sul fascino sinistro e affabulatore di Bundy, che gli permise farla franca per lungo tempo e di divenire, dopo la cattura, il primo fenomeno mediatico di questo genere tanto da trovare sostenitori anche durante il processo, uno dei primi a essere trasmesso in tv e perfino una sorta di comprensione del giudice (qui interpretato da John Malkovich) che presiedeva la corte e sul modo in cui la sua figura, quasi trasfigurata, come fatto da David Fincher in Zodiac, in una impalpabile entità maligna abbia influenzato la vita delle persone a cui è stato accanto, non solo la protagonista Liz, ma anche l’amica Carole Ann Boone (Kaya Scodelario) che poi avrà un figlio da lui Un esercizio registico-narrativo difficile quello di mostrare il volto, in certi momenti quasi patetico (pensiamo alle improbabili giustificazioni del serial killer dopo l’arresto) del male e allo stesso tempo cercare di renderlo invisibile e quindi più sinistro che il regista tutto sommato porta avanti con un certa abilità, anche se la prova di Zac Efron, sia pure molto positiva, non è all’altezza di tali aspirazioni. Bello inoltre rivedere sullo schermo dopo i tanti problemi affrontati l’ex star de Il sesto senso Haley Joel Osment, nel ruolo di un bonario collega di lavoro di Liz.

Consigliato agli amanti dei thriller psicologici.

Andrea Persi 

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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