Attraverso gli occhi del suo alter ego Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle) ci viene raccontata la vita del regista Steven Spielberg dall’infanzia fino ai primi anni di Università.
Quando divorziò dall’attrice Amy Irving, nel 1989, il giudice riconobbe all’ex moglie del regista una buonuscita di 100 milioni di dollari, in base a un accordo prematrimoniale scritto su un tovagliolo. Scotto a parte, tutta la vita di Spielberg è sempre stata come molti dei suoi film del resto, in precario equilibrio tra realtà e fantasia (“Sogno per vivere” ha detto una volta il cineasta di Cincinnati) e la trama di The Fabelmans (a cominciare dal titolo) non fa eccezione, enfatizzandone due aspetti: l’appartenenza a una famiglia anch’essa in perenne conflitto tra il pragmatismo del padre Burt (Paul Dano), archetipo di tutte le figura rassicuranti dei futuri film del regista (come i vari personaggi interpretati da Tom Hanks) e il carattere sognatore (al limite del disturbo mentale) della madre Mitzi (una strepitosa Michelle Williams), che rappresenta invece il modello dei suoi eroi scanzonati alla Peter Pan (come il mitico Indiana Jones) e lo sconfinato amore per il Cinema, mostrato non solo come evasione da una realtà troppo dura (in un momento difficile, Sammy si rifugia nel montaggio di un film scolastico) ma anche come strumento per comprenderla e, perfino, cambiarla (tramite le sue opere il ragazzo apprende una scomoda verità sulla sua famiglia e sempre grazie a esse rivoluziona il suo difficile rapporto con i bulli della scuola). Tutto questo mentre assistiamo alla “lavorazione” delle prime opere del regista, quali il western The Last Gun del 1959o il film bellico Escape to Nowhere del 1961 accompagnate dalle prime rudimentali ma geniali intuizioni registiche (come bucare la pellicola per simulare il lampo dello sparo di una pistola) e dal progresso della tecnologia che sembra muoversi di pari passo con la crescita (fisica e non) del giovane Sammy.
Una pellicola che potrebbe risultare smielata per chi è abituato a storie di conflitti (interiori e non) che si quasi mai si risolvono con una vittoria totale del bene sul male o col trionfo della speranza, ma questo, come abbiamo detto, non è un film è un sogno che speriamo che Steven Spielberg (che in questi giorni ha compiuto 76 anni) viva e ci faccia vivere ancora per molto tempo.
Andrea Persi