Il regno del Dahomey e il suo nuovo monarca Ghezo (John Boyega) sono minacciati dal vicino impero Ori e dai trafficanti di schiavi portoghesi. Solo le indomite amazzoni Agojie guidate dall’impavida Nanisca (Viola Davis) possono salvare il Paese.
Rappresentare uno Stato africano del 1800 come un moderno resort esotico (o come il marvelliano regno del Wakanda) certamente non aiuta l’aderenza storica del film, già messa in crisi da una serie di inesattezze storiche da matita rossa (Ghezo non abolì la schiavitù per motivi etici ma la mantenne finché l’impero britannico non lo costrinse a farlo e la disputa con gli Ori aveva più motivi economici legati alla tratta che patriottici) come lo è la pazienza dello spettatore mentre alla trentesima sequenza di danza tribale.
Tuttavia questo sorta di 300 tutto al femminile, diretto dalla regista Gina Prince-Bythewood, che trova anche il modo nei 135 minuti di film di introdurre una sottotrama romantica tra l’ultima arrivata fra le guerriere agojie (Thuso Mbedu), destinata, ovviamente, a diventare un’eroina lo schiavista “buono” (Jordan Bolger)èun’opera ben realizzata capace di approfondire temi come l’amore, il dovere e il senso dell’onore e di appassionare il pubblico con una abile utilizzo del campo e del controcampo nelle scene d’azione.
Al “femminile” è anche la bravura del cast le interpretazioni del premio Oscar Viola Davis, di Lashana Lynch (Izogie) e Sheila Atim (Amenza) sono talmente convincenti, infatti, che aiutano a dimenticare il solito John Boyega la cui maestosità è quella di un ferro da stiro e l’ insipida performance di Hero Fiennes Tiffin (protagonista della saga romantica After e figlio del più celebre Ralph), nel ruolo dello schiavista cattivo.
Film esemplare del fatto che ci si possono prendere tutte le libertà storiche che si vogliono (pensiamo a Braveheart o a Il Gladiatore) mantenendo intatto lo spirito degli eventi.
Andrea Persi