Al principio degli Anni Sessanta, il grande successo riscontrato dai peplum portò i registi italiani a ridefinire uno dei personaggi del romanzo “Quo Vadis?”, parliamo di Ursus.

Dopo il successo internazionale del 1958 di “Le fatiche di Ercole”, un fiume di film con muscolosi protagonisti in stole, tuniche e perizomi irruppe sugli schermi. Non erano poemi storici, né drammi in costume, non erano film religiosi né mitologici. I critici di Cahiers du cinéma li chiamarono “peplum”, gli americani dovettero importarli e non capirono mai tutto il successo che ricevettero in Europa e in casa propria. I peplum erano film di esclusiva produzione italiana, realizzati con pochi finanziamenti, il cui primo ingrediente caratteristico era un eroe dalla muscolatura scolpita e poi leoni, battaglie, duelli, donne splendide. Cosa portò però Carlo Campogalliani a riscoprire un anonimo personaggio secondario d’un’opera letteraria?

Era il 1961 ed Ed Fury, per l’“Ursus” di Campogalliani, dette vita ad un eroe completamente diverso da quello immaginato da Henryk Sienkiewicz, tuttavia gli elementi per farne un eroe da peplum c’erano. L’Ursus letterario era il simbolo dell’uomo forte, capace di uccidere a mani nude persino un toro, un uomo buono e leale, un martire cristiano. Nel film di Meryn LeRoy, oltretutto, le scene con Buddy Baer erano impressionanti per il grado di realismo dell’epoca. Non si taccia poi che già nel “Quo Vadis” di Enrico Guazzoni, del 1912, Bruto Castellani aveva riscosso un notevole interesse nel ruolo di forzuto al punto che in seguito si dedicò solo ad interpretare uomini muscolosi, guadagnandosi, dieci anni dopo, il ruolo da protagonista nel sequel di “Quo Vadis” girato da Pio Vanzi, che prese proprio il titolo di “Ursus”.

Fury però non interpretò un forzuto schiavo cristiano, fu invece un fascinoso e nobile eroe dalla chioma bionda, discendente di un regno rovesciato, cresciuto tra i leoni, pronto a prestare la sua forza per le cause giuste in ogni angolo della terra. Seguirono “Ursus nella valle dei leoni” (anno 1962, regia di Carlo Ludovico) e “Ursus nella terra di fuoco” (anno 1963, regia di Giorgio Simonelli) e, prima che la trilogia fosse terminata, erano già spuntati altri film di Ursus con altri culturisti perché il successo era stato trascinante. Fury aveva combattuto schiere di tiranni, guerrieri, potenti nemici, sortilegi, era stato allattato da una leonessa, aveva sconfitto tori, aveva resistito a torture indicibili, era sopravvissuto a terremoti ed era stato attorniato dalle belle Cristina Gaioni, Moira Orfei, Maria Luisa Merlo, Claudia Mori e Luciana Gilli. Il pubblico non poteva che aver fame di nuove avventure.

La vendetta di Ursus” fu girato nel 1961 da Luigi Capuano col wrestler canadese Samson Burke (che si guadagnò qui il ruolo di Maciste nel comico “Totò contro Maciste”), “Ursus e la ragazza tartara” è del 1962 e fu diretto da Remigio Del Grosso col wrestler inglese Joe Robinson ed Ettore Manni nei panni di un principe polacco, “Ursus gladiatore ribelle” risale al 1963 con la regia di Domenico Paolella e Dan Vadis nei panni dell’eroe.

Seguì “Ursus, il terrore dei kirghisi”, regia di Antonio Margheriti con Reg Park. Di quest’ultima produzione bisogna riconoscere l’ottima qualità ed alcuni riusciti innesti horror. Il risultato eguaglia l’“Ursus” di Campogalliani. Sebbene, come nella tradizione dei peplum, faccia ricorso a tante scene tratte da “Le sette sfide”, film di Primo Zeglio, il film è ben montato, la fotografia eccellente, stupenda la sequenza in cui Ursus devia un fiume per salvare il paese in fiamme, la trama è lineare ma non noiosa, le recitazioni di Mireille Granelli, Ettore Manni e Furio Meniconi sono ottime.

Nel 1965 si girarono infine l’italo-tunisino “Gli invincibili tre”, con regia di Gianfranco Parolini ed Alan Steel, il nostro Sergio Ciani, nei panni di Ursus, ed “Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili”, regia di Giorgio Capitani con Yann Larvor. Il nome Ursus era divenuto sinonimo di peplum forse più di Ercole, se questi infatti era legato ad un immaginario mitologico preciso, Ursus permetteva agli sceneggiatori di spaziare da precise epoche storiche come quella della Roma di Commodo ad orienti irreali come quelli dei tartari, dei kirghisi, della Licia, fino ad ambientazioni esotiche e mondi fittizi tarzanidi, popolati da leoni e dominati da vulcani.


Angelo D’Ambra

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Angelo D'Ambra, saggista, laureato in Scienze Politiche, anima il portale di divulgazione storica historiaregni.it, scrive di storia nordamericana per farwest.it e si occupa di critica cinematografica e musicale per planetcountry.it e passionecinema.it.

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