Nel 1961 il regista messicano Ismael Rodríguez, affiancato dallo sceneggiatore Ricardo Garibay, dette vita ad un eccellente western violento e psicologico.
Il successo di questa pellicola è anche dovuto al suo incredibile cast di attori che riesce a dare spessore ad una trama difficile, carica di paure infantili, istinti corrotti e venature erotiche, resa tesa da un intreccio amoroso che sfocia nel fratricidio. Tutto ricorda molto da vicino le tragedie greche di Eschilo, Sofocle ed Euripide.
Perso il marito (l’allevatore Reynaldo del Hierro, impersonato da Eduardo Nirega), una vedova (l’attrice Columba Dominguez), punta a vendicarsi dell’assassinio, il commerciante di cavalli Pascual Velasco (Emilio “El Indio” Fernandez). Sin dalla veglia funebre davanti al cadavere del padre, i suoi figli vengono assaliti dall’odio della madre.
La donna assume un sicario perché insegni loro come uccidere e i bambini crescono nell’odio, accesi dalla rabbia e dal risentimento.
Così Antonio Aguilar, nei panni del fratello maggiore e più riflessivo, Reynaldo del Hierro, e Julio Alemán, il fratello minore, psicopatico e allucinato, Martín del Hierro, uccidono Pascual, poi si abbandonano al gusto del sangue, iniziano ad ammazzare per il semplice piacere di farlo. Reynaldo prova a tenere a freno Martín, ma non ci riesce e la situazione peggiora. Entrambi, infatti, si innamorano della stessa donna, Jacinta Cárdenas, interpretata dall’esordiente Patricia Conde.
L’ambientazione è quella d’un deserto del Nord del Messico, travolto da raffiche di vento.
E’ il classico esempio di pellicola western in cui l’aridità del paesaggio diventa una metafora della psicologia dei personaggi, tutti duri e complessi. Superlativa è la prova di Antonio Aguilar che arricchisce di sfumature il suo Reynaldo.
Un western nichilista in cui anche l’evidente condanna morale della violenza finisce coperta dalla polvere.