The Crown è, a questo punto, una serie nota.
È qualcosa che ha in comune con la famiglia su cui si basa. Gran parte di ciò che questa recensione ha da dire sulla quarta stagione, in gran parte eccellente, non sarà quindi una sorpresa.
La recitazione resta esemplare; la produzione e i disegni dei costumi sono, se non ineguagliati altrove in televisione, almeno di un livello raramente raggiunto.
La serie continua la sua marcia, i suoi punti di forza si rafforzano, le sue debolezze potrebbero non indebolirsi, ma certamente diventano più evidenti.
Il risultato sono dieci episodi televisivi che potrebbero non essere uniformemente tra i più belli dello spettacolo, ma che sono in qualche modo i più autentici.
Si dà il caso che la versione più autentica di The Crown sia a metà tra una telenovela e una tragedia greca.
Dopo che nella terza stagione erano state aggiunte al racconto le tumultuose vite di Charles e Annie, questa volta il fulcro della storia è l’unione tumultuosa e condannata tra il principe Carlo e Lady Diana Spencer.
Sarebbe fin troppo facile farsi prendere dalla somiglianza di Emma Corrin con la famosissima donna che interpreta, ma in più di un’occasione è davvero impossibile non farlo, un suo profilo più di una volta toglie il fiato ed è evidente come anche i registi della serie ne condividano il segreto.
E trascurare la forza della sua performance sarebbe un errore.
Il rapporto tra Carlo e Diana e, inevitabilmente, quello tra Charles e l’ex Camilla gioca un ruolo ancora più centrale qui rispetto a qualsiasi precedente trama del genere, tranne il matrimonio tra Elisabetta e Filippo.
The Crown s’impegna a sottolineare l’isolamento di Diana, e questo pone un fardello infernale sul personaggio il cui partner di scena più frequente è l’isolamento; le scene di Diana da sola (a pattinare per il palazzo, studiare danza classica o semplicemente passeggiare nei suoi appartamenti solitari) sono tra le più belle della stagione.
Questo è l’elemento della stagione più simile a una telenovela, e non è un termine usato qui in modo sprezzante. L’intricata rete reale che Morgan tesse crea una visione avvincente, ma non sminuisce mai le esperienze emotive dei personaggi.
Le trame politiche, di solito la porta attraverso cui The Crown introduce i suoi eventi storici, questa volta virano più sul discorso economico rispetto alle stagioni precedenti.
Ciò è dovuto in gran parte all’eccellente interpretazione di Gillian Anderson come Margareth Thatcher.
Un’interpretazione sempre stratificata, anche quando la scrittura non lo è, così quando l’attenzione si sposta sulla Thatcher come contraltare o riflesso di Elizabeth, la stagione vola.
Questo è ciò che viene dal mettere insieme Olivia Colman e Gillian Anderson da sole in una stanza.
La maggior parte degli episodi di questa stagione sono strutturati come un dramma di Shakespeare o ancor meglio come delle tragedie greche (cui d’altronde il Bardo deve moltissimo in termini di “hamartia” della figura centrale, o difetto fatale).
The Crown è pieno zeppo di difetti fatali, nei personaggi, nelle relazioni, in interi sistemi ed è al suo meglio quando quei difetti si trovano in primo piano, specialmente per quanto riguarda Elizabeth. mentre sembra vacillare quando l’attenzione si è spostata altrove, tipicamente sulla crisi della settimana, e quanto più complessa è la crisi, tanto meno sostanziali sembrano essere gli episodi.
La regina è morta, lunga vita alla regina, almeno per altre due stagioni.
Valerio Sembianza
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