La vita e la carriera di Bob Dylan (Timothée Chalamet) dagli esordi fino alla “svolta elettrica” del 1965.
Dal film, basato sulla biografia Dylan Goes Electric! di Elijah Wald, si possono trarre due teorie tra loro opposte su Bob Dylan: o uno str…zo misogino e arrogante di talento (una specie di Dr House della canzone, insomma) o un musicista troppo grande per gli schemi dell’epoca che lo volevano relegato dell a musica folk, come i suoi colleghi e amici Joan Baez (Monica Barbaro) e Pete Seeger (Edward Norton) e alla cui ribellione collabora indirettamente anche il leggendario Johnny Cash (Boyd Holbrook) mostrando, attraverso il suo esempio, al giovane talento come sarebbe la sua vita se restasse legato a un solo genere e all’impegno politico.
Il regista James Mangold lascia allo spettatore libero di scegliere, focalizzandosi piuttosto sul raccontare la nascita, l’ascesa e l’anticonformismo di una leggenda della musica come una sorta di mistery in cui l’enigma è costituito dallo stesso protagonista che appare un giorno al capezzale del suo idolo Woody Guthrie (Scoot McNairy) accompagnato da un passato oscuro (la sua fidanzata Sylvie Russo, interpretata da Ella Fanning, scopre quasi per caso il suo vero nome) ma destinato a un futuro radioso tra luoghi comuni da B-movie della domenica (Dylan praticamente conquista chiunque con due accordi e, ovviamente viene preso subito a ben volere da un cantate di successo che ne diventa mentore), scene che alla lunga diventano ripetitive e funzionali unicamente a fare da scenografia, come in un vecchio musicarello nostrano alle performance del cantante, ma altre come quelle in cui vengono eseguiti i brani Blowin’ in the Wind, Masters of war o The Times They Are A-Changin sono ricche di pathos (come i duetti di Dylan con Joan Baez al o l’esecuzione di Masters of war all’interno di un locale nel momento di massima tensione da Usa e Urss che riesce a trasmettere al pubblico, pur consapevole che prevarrà il buon senso, quel senso di smarrimento e di terrore che dovevano provare le persone dell’epoca) ed emblematiche di eventi come la crisi dei missili di Cuba, l’assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam e che il regista arricchisce con un’accurata ricostruzione scenografica d’epoca.
Timothée Chalamet, dopo aver brillato in film che, almeno secondo il mio parere, altrimenti sarebbero stati degni di un cinema parrocchiale come le due pellicole di Guadagnino e la “bilogia” di Dune di Villeneuve, può dare sfoggio, soprattutto nelle parti cantante, dei suoi eccezionali talento e versatilità, specie se confrontati, con un ottimo Edward Norton in una pellicola, certamente meno spettacolare di Elvis e Bohemian Rapsody, ma altrettanto intensa ed emozionante.
Andrea Persi
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