Un anno dopo la morte del re T’Challa (Chadwick Boseman) il Regno del Wakanda è minacciato dagli altri Stati che vorrebbero impadronirsi dei suoi giacimenti di vibranio e da un popolo degli Atlantidei guidati dal potente Namor (Tenoch Huerta).
Trentesimo e ultimo film della fase 4 della Marvel Cinematic Universe, diretto nuovamente da Ryan Coogler che si capisce fin dall’inizio, dalla raccapricciante scena del funerale del re tra cortigiane che ridono e cittadini in ciabatte (molto più toccanti per commemorare Boseman i titoli di testa a lui dedicati), difficilmente ripeterà l’exploit del primo capitolo, candidato all’Oscar e che da qualunque angolazione si osservi appare un film riuscito solo a metà.
Se, infatti, gli attori del vecchio cast tra cui Angela Basset (la regina madre Ramonda), Letitia Wright (la principessa Shuri) Lupita Nyong’o (Nakia), Danai Gurira (la mitica Michone di The Walking Dead nel ruolo della guerriera Okoye), Winston Duke (M’Baku) riescono a ricreare l’epicità della precedente pellicola, i nuovi personaggi rappresentano un disastro su tutta la linea. Inutili se non macchiettistici quelli di Ironheart (Dominique Thorne), Everett Ross (il perennemente accigliato Martin Freeman) e della super spia Valentina De Fontaine (Lake Bell), mentre il vero scempio si consuma col personaggio di Namor, monarca subacqueo, palestrato e conciato come l’animatore di un resort caraibico alla guida di un gruppo di esseri bluastri, tristemente uguali (tranne per la coda che il regista gli ha voluto pietosamente risparmiargli) ai Na’vi di James Cameron.
Si sente, insomma, la mancanza di un villain del calibro di Michael B. Jordan (che compare in un inutile cameo) e di una storia all’altezza della prima, oltre che di un allestimento scenografico e visivo che renda giustizia all’ottima colonna sonora diretta anche stavolta dallo svedese Ludwig Göransson.
Nonostante i tentativi, riusciti solo in parte e verso la fine della storia, Coogler non riesce a ripetere la magia del primo film, confezionando un prodotto non brutto ma di ordinaria amministrazione e dalla durata certamente eccessiva.
Andrea Persi