Tripudio (diciamo subito, meritato) alla festa del Cinema di Roma per la versione cinematografica nel musical di Erica Schmid, moglie del protagonista Peter Dinklage, noto (e amato) dal grande pubblico per la sua interpretazione di Tyrion Lannister ne Il Trono di Spade, a sua volta ispirato alla celebre commedia teatrale di Edmond Rostand e girato interamente in Sicilia tra Noto e Siracusa e sulle pendici dell’Etna.
Nella Francia del Re Sole, Cyrano De Bergerac (Peter Dinklage) è un formidabile spadaccino e un sensibile letterato, afflitto da nanismo. Innamorato da sempre dell’amica d’infanzia, la bella ma capricciosa Rossana (Haley Bennet), promessa sposa dell’untuoso duca De Guiche (Ben Mendelsohn), Cyrano non riesce a esternare questo sentimento nemmeno al fidato amico Le Bret (Brian Tyree Henry) e accetta, pur di sublimare in qualche modo questa passione, di aiutare il giovane e immaturo Christian (Kelvin Harrison Jr) a far innamorare Rossana di lui, creando così un pericoloso triangolo amoroso fatto di bugie e segreti.
Il regista Joe Wright, presente alla proiezione assieme alla protagonista Haley Bennet, conferma, dopo il fiasco di Pan eil successo de L’ora più buia, la sua grande capacità, ammirata per la prima volta del suo film d’esordio Orgoglio e pregiudizio del 2005, nel saper coniugare musica e immagini, ispirandosi per queste ultime al cinema di David Lean e ai quadri classici, così come fece Kubrick con il suo Barry Lyndon, questa volta per creare un racconto barocco, contrassegnato dai meravigliosi costumi di Massimo Cantini Parrini, già premio Oscar per il Pinocchio di Matteo Garrone, sull’amore, l’amicizia e la devozione.
Ma a differenza della pellicola tratta dal romanzo di Jane Austen, in questo caso sono gli stessi protagonisti a nascondersi reciprocamente la verità (e non a esserne vittime di inganni esterni o di errati preconcetti) per tenere in piedi l’illusione di un amore destinata a venire progressivamente e fatalmente sgretolata, nonostante i sacrifici di Cyrano di tenerla viva.
Emblematica in questo senso la ricostruzione esageratamente teatrale della prima parte, fatta di corsetti e cicisbei imbellettati, a cui si sostituisce progressivamente un realismo sempre più cupo, rappresentato dalla guerra, quella vera, che viene a scacciare le schermaglie amorose (eloquente in questo senso la scena in cui De Guiche si toglie la parrucca e dichiara di rinunciare all’amore mentre sta partendo per il fronte).
Una pellicola, che pur non rinunciando a momenti ironici, ci appare, quindi, ben lontana dall’atmosfera guascona del libro e della precedente trasposizione di Jean-Paul Rappeneau con Gérard Depardieu, in cui alla fine è il dramma a prevalere (si pensi, ad esempio, alle scene dei soldati che scrivono dal fronte prima dell’attacco e ovviamente al finale) e in cui l’amore, quando non è accompagnato dalla verità, è solo un’effimera utopia. Meravigliosi, infine, i protagonisti Dinklage e Bennet, specialmente nelle parti cantate.
Sarà un film da Oscar? È presto per dirlo, ma sicuramente un segno lo lascerà.
di Andrea Persi