La bellezza e il dolore. In questo binomio è racchiuso il Cinema e forse anche la vita del regista toscano che ci ha lasciato oggi alla veneranda età di 96 anni.
Presunto discendente di Leonardo Da Vinci e figlio naturale, riconosciuto solo a 19 anni dal padre, Zeffirelli soffrì molto per la morte della madre in tenera età e fu poi istruito nel collegio cattolico del Convento di San Marco (dove tra i suoi insegnanti ebbe anche Giorgio La Pira). In seguito studiò all’Accademia di Belle Arti di Firenze, esordendo come scenografo nel dopoguerra, curando a un allestimento teatrale diretto da Luchino Visconti, con il quale intratterrà nel corso degli anni ’50 una difficile relazione sentimentale. Omosessuale, benché ostile agli eccessi del movimento gay, ma anche cattolico convinto (“non si può non credere” diceva), nonostante le molestie ricevute da un sacerdote, il cineasta divenne anche un’icona pop nei primi anni ’90 per i suoi accessi attacchi, da tifoso viola di lungo corso, verso la Juventus degli Agnelli e di Luciano Moggi.
La propria visione del mondo lontana dagli stereotipi, politicamente di destra ha sempre rifuggito la semplificazione che questo volesse dire “stare con i padroni”, gli ha permesso di maturare una sensibilità artistica in cui la bellezza estetica è divenuta funzionale a veicolare situazioni in cui il dolore era invece il tema dominante come i tormenti interiori della novizia di Storia di una Capinera, la disperazione di un amore impossibile di Romeo e Giulietta (la cui scena della riconciliazione durante i titoli di coda nel film rimane una delle più delicate nel nostro Cinema) o l’orrore della guerra vista attraverso di occhi di un gruppo di raffinate signore inglesi in Un tè con Mussolini.
Grande amante dei cani, Zeffirelli disse nel 2012 che il suo sogno era quello di spegnersi con uno di loro al mio fianco. Il piccolo desiderio di un grande uomo.