Nel corso della guerra di secessione, una compagnia di volontari dell’esercito nordista viene inviata a presidiare ed esplorare le remote regioni dell’ Ovest. Dalla quotidianità delle loro azioni e dalle difficoltà che incontreranno, emergerà il senso ultimo del loro viaggio attraverso la frontiera.

Il nuovo film di Giovanni Minervini, che sarà presentato a Cannes nella selezione ufficiale Un Certain Regard, è un’opera minimalista, sul modello dei film di Terrence Malick, che racconta la vita di personaggi calati in una situazione estrema come la guerra. La narrazione, come nel precedente documentario “Che fare quando il mondo è in fiamme?” che raccontava la vita di persone appartenenti a minoranze razziali nel sud degli Stati Uniti, scosso dalle violenze razziali nell’estate del 2016, si sviluppa mostrandoci azioni dei protagonisti (di cui non ci viene detto nemmeno il nome), piuttosto che tramite dialoghi o raccontando le loro storie personali, a mala pena abbozzate nel racconto.  

Questa essenzialità sebbene affascinante dal punto di vista tecnico, mette però in evidenza i grandi limiti del film: a cominciare da una caratterizzazione talmente anonima dei personaggi che impedisce allo spettatore d’identificarsi o provare empatia verso di loro, fino a una storia  che si dipana confusamente non riuscendo a comunicare praticamente nulla se non un nebuloso messaggio antibellicista su come l’uomo nel seguire i vari principi del dovere, dell’obbedienza e perfino della fede, perda di vista e anzi cerchi di dominare con la violenza la bellezza che è attorno a lui, un concetto questo già espresso, indubbiamente in maniera migliore sia da punto i vista estetico e contenutistico, dal già citato Terrence Malick nel suo “The tree of life”.

L’esito finale è dunque un film che, sebbene ben recitato dal cast corale, risulta appena discreto sotto il profilo tecnico e “balbuziente” dal punto di vista narrativo, non riuscendo a esprimere compiutamente quali messaggi si vorrebbero trasmettere agli spettatori attraverso il metodo del “raccontare, mostrando” che invece altri cineasti anche di minore esperienza (si pensi all’opera prima di Paola Cortellesi e, ad esempio, alla soggettiva di Valerio Mastrandrea che chiude le finestre di casa) hanno invece dimostrato di saper padroneggiare egregiamente.  

Un brutto risultato per un regista che in precedenti pellicole ha saputo emozionare e coinvolgere il pubblico

Andrea Persi

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey
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