Questo 2019 sarà ricordato come un anno di addii. Ci lasciano gli Avengers, ci lascia (ma forse no e forse solo nell’Universo Marvel) lo Spiderman di Tom Holland, ci lascia la nuova trilogia di Star Wars (e probabilmente è un bene) e ci lascia, infine, lo spaventoso It di Andrès Muschietti il cui capitolo conclusivo è in arrivo il 4 settembre, sceneggiato dal Gary Dauberman (Annabelle 3), per la fotografia del peruviano Checco Varese e le musiche di Benjamin Wallfisch, quest’ultimo reduce dal disastroso reboot di Hellboy.

Ventisette anni dopo essere stata sconfitta dalla banda dei Perdenti, formata da Bill (James McAvoy), Beverly (Jessica Chastain) Ben (Jay Ryan), Mike (Isaiah Mustafa), Richie (Bill Hader), Eddie (James Ransone) e Stan (Andy Bean), la malefica entità It, incarnata nelle sembianze del clown Pennywise (Bill Skarsgård) ha ripreso a perseguitare gli abitanti della piccola cittadina di Derry. Toccherà nuovamente al gruppo di amici, ormai adulti e immemori degli orrori vissuti ma ancora segnati da essi, riscoprire la forza del loro legame per cercare di sconfiggere una volta per tutte la sanguinaria creatura.

Per bizzarre coincidenti del caso, o più verosimilmente per conoscenza anche stilistica dei gusti del pubblico dei blockbuster, il film presenta, a cominciare dalla durata non indifferente di due ore e mezza, notevoli similitudini con le pellicole delle Marvel (la tana di It, ad esempio, somiglia non poco al ponte di comando del Titano Thanos) miscelando dramma (interiore o meno a seconda dei casi) azione e ironia e, ovviamente, terrore per raccontare una storia sul senso di colpa e su come esso segni la vita di una persona adulta, mentre nel primo film a farlo erano le insicurezze dell’età infantile.   Seguendo questa impostazione, il regista recupera e rende funzionali ai propri scopi narrativi, alcuni avvenimenti del romanzo, come il rituale di Chud o l’aggressione alla coppia omosessuale ed elimina altre copiose sottotrame come quelle riguardanti la moglie di Bill, il marito di Beverly, ridimensionando, altresì, il personaggio di Henry Bowers e inserendo (si veda la scena del Bar Mitzvah del giovane Stan o del segreto di Richie) situazioni inedite.

Nel complesso il risultato è più che positivo anche se inferiore al primo film a causa non tanto della lunghezza in sé, quanto del fatto che il pubblico ormai conosce lo stile registico di Muschietti, il che rende prevedibili le “cariche” di Pennywise o le varie sequenze allucinatorie dei protagonisti e ciò, nonostante i lodevoli tentativi di ribaltare, specie nel finale, quanto più spesso possibile il quadro narrativo.

Un discorso a parte merita il cast. Tommy Lee Wallace autore dell’It televisivo con l’eccezionale Tim Curry disse che gli attori adulti non furono all’altezza dei ragazzi protagonisti della prima parte dello sceneggiato. Il gruppo scelto dal cineasta argentino, il quale comunque dedica ampio spazio ai flashback con i protagonisti del primo film, si dimostra invece all’altezza anche nel mostrare coerenza con i caratteri dei loro personaggi da bambini, in particolare l’attore James Ransone che interpreta l’ipocondriaco e insicuro Eddie Kaspbrak. Tutti tranne l’attesissima Jessica Chastain, invocata a furor di popolo (del web), per il ruolo di Beverly da adulta, che tra momenti di totale vacuità espressiva e fastidiosi urletti striduli è l’unica nota stonata di un cast in cui vanno ricordati i camei di Xavier Dolan, Peter Bogdanovich, dello stesso Stephen King e, ovviamente, della……Tartaruga.

L’incubo dunque si conclude, magari non in modo perfetto, ma sicuramente per farci provare i brividi (ma anche divertimento e una punta di commozione) che non dimenticheremo tanto presto.

Andrea Persi

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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