Detenuto in attesa del processo per i suoi delitti nel manicomio criminale di Arkham, Arthur Fleck (Joaquin Phoenix), incontra la compagna di prigionia Harley Quinn (Lady Gaga) e tra i due si sviluppa una relazione affettiva, mentre Gotham City è sempre più divisa tra sostenitori e gli oppositori del Joker.
Seguito del film rivelazione del 2019, che è valso al protagonista il premio Oscar e la prima candidatura come miglior film per una pellicola basata sui personaggi della DC Comics, l’opera di Todd Phillips si rivela ancora più cupa e disturbante della precedente sia per la fotografia “marlowiana” e plumbea che Lawrence Sher alterna a quella variopinta delle scene musicali e sia per l’utilizzo narrativo dei cartoon e soprattutto del musical (simboli per definizione della leggerezza e del divertimento) per veicolare emozioni come la violenza e la brutalità, così come fatto con la commedia del precedente film (si pensi alla scena del cinema in cui viene proiettato “Tempi moderni” di Chaplin, che prelude al definitivo crollo psichico del protagonista). Non a caso, durante la proiezione del musical Spettacolo di Varietà di Vincent Minnelli viene appiccato un incendio, la dispotica guardia Jackie Sullivan (Brendan Gleason) ha ambizioni canore e tutta la morbosa love story tra Harley e Arthur è scandita da intermezzi musicali o teatrali.
Una storia d’amore che fa comunque da mero palcoscenico allo scontro tra le due personalità del Joker e di Arthur che raggiungerà il proprio climax quando quest’ultimo verrà messo a confronto, nel processo condotto dal procuratore distrettuale Harvey Dent (Harry Lawtey), con le conseguenze delle proprie azioni sia sulle vittime dirette come l’ex amico Gary Puddles (Leigh Gill) o su quelle indirette, come i prigionieri e le guardie di Arkham, che rappresentano il microcosmo visibile di quello più grande e invisibile per buona parte del film costituito dai cittadini di Gotham divisi tra fan del clown e chi lo vede solo come un volgare assassino.
Centrale come nel precedente film, rimane, infatti, la critica della società dei mass media, capace di far nascere mostri da individui apparentemente innocui che Phillips ha preferito riprendere e approfondire anziché sviluppare ulteriormente il passato di Fleck (il cui padre biologico è rimasto, ricordiamolo, ignoto). Una scelta che finisce per cristallizzare il protagonista in quanto già sapevamo dal primo capitolo.
Tuttavia, nonostante la reale assenza di novità o di momenti in cui lo stesso spettatore viene messo in condizione di non riuscire a distinguere la realtà dai deliri del protagonista (espediente usato nel primo film che appare saggio non aver ripetuto), la tensione narrativa cresce man mano che la storia si sviluppa, fino a culminare in un finale coraggioso e spiazzante che personalmente ho apprezzato, ma che è destinato a dividere il pubblico.
Phoenix bissa l’eccezionale prova e conferma lo straordinario talento espressi nel film originale, mentre Angelina Germanotta, che pure ha offerto buone prove attoriali in passato (pensiamo ad A star is born di Bradley Cooper), questa volta sembra trovarsi, più a proprio agio nelle scene di ballo e canto che nelle parti recitate.
Non il migliore dei sequel possibii, ma sicuramente quello più fedele allo spirito del primo capitolo e alla versione dell’iconico villain concepita dal regista.
Andrea Persi
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