Il miliardario Jake Foley (Russel Crowe) riunisce i suoi amici d’infanzia (Liam Hemsworth, Paul Tassone, Robert Fitzgerald Diggs, Aden Young e Daniel MacPherson), ognuno dei quali ha motivi di astio verso lui, a una partita a poker nella sua ultramoderna villa. Ma del corso della serata i colpi di scena che Foley aveva predisposto, gli sfuggiranno drammaticamente di mano.
Durante la presentazione del film alla Festa del Cinema di Roma, Crowe ha raccontato le difficoltà di assumere la regia di un film in pieno lockdown dopo e realizzato solo per metà. E, in effetti, se è apprezzabile il tentativo dell’ex Gladiatore di dare spessore a un thriller dal plot modesto, introducendo, riflessioni esistenziali sulla vita e la morte, il risultato complessivo è alquanto deludente.
Tra improbabili svolte narrative (che c’entra con tutto il resto la gara in automobile per raggiungere la magione di Crowe?) e personaggi al limite dell’assurdo come un invecchiato Liam Hemsworth, il rapper Robert Fitzgerald Diggs, messo lì solo per far numero senza svolgere alcun ruolo di una qualche utilità narrativa, il ladruncolo esperto d’arte Styx (Benedict Hardie) alla ricerca di capolavori nelle cucine (un Guttuso in bagno, no?) o la seconda moglie del magnate (Lynn Gilmartin) dalla dubbia moralità, il film va avanti stancamente e noiosamente fino al suo truculento epilogo.
Il toccante e originale finale della storia, in cui Crowe esplicita tutte le considerazioni esistenzialiste sulla vita e sull’amore fino a quel momento semplicemente abbozzate e riflette (alla maniera di Orson Wells in Quarto Potere) sulla precarietà dei beni materiali rispetto all’eternità dei sentimenti, non salva purtroppo il film dall’essere un’opera scadente anche se piena di buone intenzioni.
Andrea Persi