Di Valerio Sembianza
Russian Doll è una serie televisiva statunitense del 2019 ideata da Natasha Lyonne, Amy Poehler e Leslye Headland.
La prima stagione, composta di otto episodi, è stata distribuita su Netflix il 1º febbraio 2019, in tutti i paesi in cui è disponibile.
Russian Doll sin dalla prima impressione e visione si rivela un bellissimo puzzle, una misteriosa commedia esistenziale, circolare e delineata su più piani, ambientata nei villaggi di Lower Manhattan.
Popolato da grandi e piccoli personaggi memorabili, è uno spettacolo che dopo aver guardato una prima volta, potresti voler guardare di nuovo, ammirare i suoi meccanismi per trovare gli indizi che potresti avere mancato.
Natasha Lyonne , che ha co-creato la serie con Amy Poehler e Leslye Headland, interpreta Nadia, un ingegnere di software per videogiochi che continua a morire violentemente, spesso con un effetto da slapstick, la notte del giorno dopo il suo 36 ° compleanno.
Ogni volta che torna nel bagno del loft, dove la sua amica artista Maxine (Greta Lee) le sta organizzando una festa cui preferirebbe non partecipare per un compleanno che preferirebbe non avere.
“Gotta Get Up” di Harry Nillson, ironicamente allegro e liricamente stanco, la saluta alla colonna sonora a ogni suo ritorno.
Le somiglianze strutturali e tematiche con “Ricomincio da capo” in cui l’universo cospira per affinare un personaggio attraverso la ripetizione, sono chiare, ma non c’è nulla di unico in quel prestito ormai.
A un quarto di secolo di distanza, è solo una valuta culturale, un modello, come “Il canto di Natale” o “Che botte se incontri gli Orsi”, su cui costruire storie fresche, un’armatura per sostenere forme originali.
Come una storia circolare che fornisce nuove informazioni a ogni nuovo giro della ruota, ci sono anche elementi del film sull’universo parallelo e di ogni storia in cui gli estranei sono costretti dalle circostanze a lavorare insieme per risolvere un mistero, vale a dire che ha Alfred Hitchcock nel suo DNA tanto quanto Harold Ramis.
Soprattutto, è una narrativa di videogiochi in cui il gioco ti uccide e ti rimanda all’inizio e tu stai meglio, forse, a non essere ucciso e per vincere il gioco e terminare la storia, devi scoprire lo scopo del gioco che stai provando a terminare.
Nella classica storia da detective-story, l’azione viaggia da un posto all’altro mentre Nadia cerca gli indizi e mette alla prova le sue teorie: una sinagoga, un rifugio per l’Esercito della salvezza, parchi e negozi di specialità gastronomiche, gioiellerie, bar e stanze sul retro.
Risolvere il mistero diventa una specie di corsa contro il tempo, se non altro per aggiungere pressione a fine gioco a una storia che altrimenti potrebbe scorrere per sempre, fino alla fine della televisione, mentre gli spettatori invecchiano e Nadia rimane trentaseienne.
I punti della serie sono difficilmente nascosti, anzi, sono esplicitamente dichiarati, ancora e ancora. Se alla fine è solo una lunga meditazione sull’idea che le persone hanno bisogno di persone, un’espressione metaforica di quattro ore sul fatto che devi abbandonare i vecchi schemi per andare avanti, è meravigliosa per tutto il percorso e magnifico nella sua conclusione.