Sara Montiel, nel 1954, interpretò Nina in “Vera Cruz”, di Robert Aldrich, con Gary Cooper e Burt Lancaster. Non era un ruolo da protagonista eppure quella caratteristica bellezza ispanica lasciò il segno, persino spingendo nell’ombra l’altra donna del film, Denise Darcel.

 
La Montiel interpretò un’agente juarista, una ragazza dal temperamento forte, astuta e bellissima. La vediamo baciare Cooper, dirgli “Gracias Senor!” e così rubargli il portafoglio. In un’altra scena, durante una battaglia, prende il comando di uno dei carri delle truppe di Massimiliano d’Asburgo e ritrova Cooper per restituirgli il portafoglio, ormai vuoto.
Così divenne l’emblema della ragazza messicana, seducente e capricciosa, dolce e irrequieta, un modello riproposto poi in un mucchio di film western, soprattutto spaghetti. Ammaliante, brillante, vivace, fu la prima diva del cinema spagnolo a conquistare Hollywood, grande cantante, grande interprete, grande attrice.
 
Proveniente da una famiglia povera della Mancha, all’età di 13 anni aveva vinto un concorso di canto, mentre la sua carriera di attrice era iniziata nel 1944 con produzioni spagnole e messicane. Gli americani l’avevano scoperta grazie alla pellicola “Carcere di donne”, dove recitò accanto a Miroslava Stern e Katy Jurado e così se ne innamorarono. Anthony Mann iniziò a frequentarla sul set di “Serenata”, un musical con Joan Fontaine e Vincent Price, e divenne il suo primo marito. Durò sette anni. Lei avrebbe avuto poi storie con Charles Bronson e Burt Lancaster, e fu sposata quattro volte in tutto.
 
Nel 1957 lavorò in un altro western, “La tortura della freccia”, di Samuel Fuller. Quella volta ebbe un ruolo di primo piano, interpretò una nativa sioux, Yellow Moccasin. Dichiarò di aver imparato allora a cavalcare senza sella in pochissimo tempo e di essersi divertita molto durante le riprese più con le maestranze e le comparse – nativi americani – che con i colleghi di Hollywood. Fu un successo, però se ne tornò in Spagna. Volle sfuggire ai ruoli ispanici in cui i produttori avrebbero voluto imprigionarla. Ormai, però, aveva fatto perdere la testa tutti. Ottenne premi su premi, le chiavi d’oro delle città di Los Angeles, New York, Miami, Chicago. L’America era ai suoi piedi.
 
In Spagna avrebbe raggiuntò le più alte vette della popolarità, superando i condizionamenti della politica e i limiti economici, con la sua arte, gli abiti suggestivi che tentavano la censura, la simpatia incondizionata. Si ritirò dall’industria cinematografica nel 1974, ma come cantante rimase attivo fino ai suoi ultimi giorni, spegnendosi nel 2013.
 
 

 

 

 

Angelo D’Ambra

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Angelo D'Ambra, saggista, laureato in Scienze Politiche, anima il portale di divulgazione storica historiaregni.it, scrive di storia nordamericana per farwest.it e si occupa di critica cinematografica e musicale per planetcountry.it e passionecinema.it.

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