Dall’irriverente Chucky alla sinistra Annabelle, passando per il mefistofelico Billy, bambole e pupazzi hanno sempre avuto un ruolo di primo piano del cinema horror, sfruttando quella paura irrazionale dell’uomo, che in psichiatria è definita pediofobia, di questi bizzarri simulacri di loro stessi. Uno degli ultimi arrivati, è il pupazzo Brahms, protagonista di una pellicola di discreto successo del 2016, di cui oggi è disponibile sulla piattaforma Amazon Prime il sequel, sempre diretto da William Brent Bell (L’altra faccia del male) per la sceneggiatura di Stacey Meaner, la fotografia di Karl Walter Lindenlaub (Haunting – Presenze) e le musiche di Brett Detar (La metamorfosi del male).
A seguito di un’aggressione domestica, Liza (Kathie Holmes) è soggetta ad attacchi di panico e incubi, mentre suo figlio Jude (Christopher Convery) non riesce più a parlare. Nel tentativo di aiutarli a superare il trauma il capofamiglia Sean (Owain Yeoman) li porta in una casa di campagna in cui tutto sembra andare per il meglio, finché Jude non trova sepolto nel bosco una bizzarra bambola di porcellana a cui da il nome di Brahms.
Il sequel di un film horror può o approfondire quanto già appreso nel primo capitolo (vedi Insidious 2) o ribaltarlo totalmente (vedi Venerdi 13 Parte II). Bell sceglie questa seconda via ma il risultato è piuttosto mediocre. Sebbene sia valida l’idea di creare ambiguità nella storia mostrandola dal punto di vista della psicologicamente fragile Liza o l’espediente di far comunicare Jude solo tramite messaggi scritti su un blocnotes, il resto delle trovate dal taciturno guardiacaccia (Ralph Ineson), al cuginetto bullo che viene punito in maniera violenta, alla psichiatra infantile che non imbrocca la diagnosi manco per caso, fino al colpo di scena finale e al finale stesso (nettamente inferiori a quelli del primo capitolo) sanno di già visto e danno a una pellicola povera di idee lo stesso spessore narrativo di un cortometraggio mal diretto.
Se nel primo capitolo la storia la storia riusciva a svilupparsi in maniera lineare accrescendo progressivamente la tensione del racconto, qui sembra, invece, di assistere a un insieme di scene, dall’iniziale aggressione domestica, all’arrivo del parentame in visita, fino alla casuale (per non dire ridicola) scoperta da parte di Sean di tutti i retroscena, legate insieme alla meno peggio e incapaci di risvegliare il minimo brivido nel pubblico.
La saga di Freddy Kruger riuscì a riprendersi alla grande dal disastroso secondo capitolo diretto da Jack Sholder nel lontano 1985, possiamo solo augurare lo stesso a quella creata da Bell.
Andrea Persi
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