Per ben pochi cineasti il concetto del viaggio, quasi sempre artisticamente efficace, ha avuto l’importanza e la centralità che ha avuto per Gabriele Salvatores.
Una circostanza curiosa visto che il regista partenopeo nasce come autore teatrale, in un contesto, quindi, prettamente “statico”, rispetto al dinamismo del viaggio.
Solo che i viaggi di Salvatores sono particolari, più spirituali che fisici, al punto che l’isoletta sperduta di Mediterraneo o il mondo virtuale di Nirvana, divengono delle mere scenografie, sebbene capaci di predisporre al cambiamento, per l’evoluzione dei personaggi. E questo vale anche per l’ultima opera del regista, tratta dal romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas e sceneggiata oltre che da lui da Umberto Cantarello e Sara Mosetti, con la fotografia di Italo Petriccione e le musiche di Mauro Pagani.
Vincent (Giulio Pranno) è un ragazzo autistico che vive con la madre Elena (Valeria Golino) e suo marito Mario (Diego Abatantuono). I delicati e a tratti problematici equilibri della famiglia verranno però messi in crisi dal ritorno del padre naturale del ragazzo, Willi (Claudio Santamaria) squattrinato cantante neomelodico che condurrà quasi per caso il ragazzo con sé in un picaresco viaggio attraverso l’ex Jugoslavia.
Salvatores torna in Friuli e nelle confinanti regioni slave dei due film de Il ragazzo invisibile, con un road movie “di formazione” in stile Kerouac, che si snoda tra le musiche di Domenico Modugno e le atmosfere a metà tra un film di Emir Kusturica e uno di Sergio Leone, la cui peculiarità non risiede tanto nel raccontare la storia dell’iniziazione del giovane Vincent alla vita e al mondo, narrata con tutte le situazioni prevedibili del caso come i primi approcci con le donne, quanto nel mostrare l’influenza che questo provoca tra gli adulti (il padre naturale che lo accompagna, la madre e il padre adottivo che li cercano) che hanno un legame col lui e del cambiamento, più o meno radicale, che questa esperienza di rifletto provoca in loro. Un approccio che permette al regista non solo di creare situazioni imprevedibili e tratti surreali, vedi la scena dell’incidente, ma sopratutto di offrire un finale non scontato.
Sul versante recitativo molto bravi Giulio Pranno che offre una prova spontanea e vivace e Diego Abatantuono, ormai pienamente accreditato, quando vuole, come ottimo interprete di pellicole impegnate. Meno in parte Claudio Santamaria che appare a tratti ingessato in un ruolo che non sente come suo e in cui da il meglio nelle performance canore e Valeria Golino col suo perenne occhio della madre.
Non il miglior film di Salvatores, ma certamente un’opera interessante e intensa.
Andrea Persi