Jim Morrison una volta disse: “Un giorno anche la guerra si inchinerà al suono di una chitarra”. Stiamo ancora aspettando che la profezia del frontman dei Doors si realizzi, ma nel frattempo il Cinema ha più volte raccontato il potere della musica di unire persone separate da barriere apparentemente insormontabili (si vedano Il pianista di Roman Polanski o il più recente Green Book di Peter Farrelly). E così il regista Dror Zahavi ha scelto di utilizzare la musica come chiave di lettura del conflitto di tutti i conflitti (quello israelo-palestinese) in quest’opera sceneggiata da lui stesso e dalla squadra formata da Stephen Glantz, Johannes Rotter, Marcus Otto Rosenmuller, Volker Kellner, per la fotografia di Gero Steffen e le musiche di Martin Stock.

Durante un summit di pace tra Israele e Palestina, il famoso maestro Eduard Sporck (Peter Simonischek, vincitore del premio come miglior attore agli European Film Awards per Vi presento Toni Erdmann), accetta l’incarico di costituire un’orchestra formata da giovani musicisti di entrambi i popoli. Ma trasformare il gruppo di ragazzi, di cui fanno parte, tra gli altri, Omar (Mehdi Meskar), Shira (Eyan Pinkovitch) e i violinisti Ron (Daniel Donskoy) e Layla (Sabrina Amali), separati da generazioni di odio e risentimento, in un’orchestra affiatata e coesa non sarà un compito facile.

Ispirandosi alla storia vera della West-Eastern Divan Orchestra creata da Daniel Barenboim e Edward Said, Zahavi, nonostante uno sviluppo narrativo apparentemente convenzionale dell’opera (che ricorda film analoghi come Les choristes – I ragazzi del coro di Christophe Barratier o L’ottava nota – Boychoir di François Girard), che segue canovaccio: presentazione dei personaggi, difficoltà iniziali, primi successi, crisi, finale, costruisce un film toccante e originale.

Un risultato ottenuto sia grazie al particolare utilizzo della musica (nella quale spiccano le Quattro stagioni di Vivaldi e il Bolero di Ravel, certamente il più celebre crescendo musicale conosciutoi), descritta come unico momento di vera unità tra i giovani, in contrasto con gli screzi quotidiani dei singoli e sia grazie alla particolare narrazione che, si snoda come un lungo flashback che inizia da uno dei momenti più drammatici della storia e che fa da preambolo al finale.

Un finale in bilico tra crudo realismo e surrealismo puro che riassume tutta la potenza della musica, forse non nel porre fine alle guerre, ma nell’offrire speranza che questo sia possibile.

Andrea Persi

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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