Nel 1998, quando il termine cinecomic non era ancora sinonimo di miliardi al botteghino e universi condivisi, un ibrido di vampiro e umano vestito di pelle nera irruppe nelle sale cinematografiche. Si chiamava Blade, e con la sua katana affilata e il carisma tagliente di Wesley Snipes, portò sul grande schermo un’idea allora quasi blasfema: che un personaggio Marvel potesse funzionare al cinema senza bisogno di costumini sgargianti o ironia da sit-com.
La trilogia di Blade è oggi una reliquia cult, una saga notturna che ha anticipato le luci dell’alba dell’era supereroistica. Prima che Tony Stark costruisse la sua prima armatura, prima ancora che gli X-Men entrassero in scena, Blade stava già battendo cassa – e mostri.
Il merito del primo sangue
Diretta da Stephen Norrington, la pellicola del ’98 era un b-movie travestito da blockbuster, un’orgia di sangue sintetico, arti marziali e techno anni ’90. Eppure, sotto quella scorza ruvida, c’era un film più intelligente di quanto si potesse pensare: Blade era il cacciatore che rifiutava sia il mondo umano che quello vampiro, un antieroe tagliato su misura per un’epoca post-cyberpunk, figlio di un’America urbana e spietata.
Il secondo capitolo, firmato da Guillermo del Toro, portò in dote il suo universo di mostri, una regia più autoriale e una mitologia ampliata. Blade II è il vertice estetico e narrativo della trilogia: cupo, gotico, violentissimo, ma anche sorprendentemente emotivo. Poi venne il buio.
La lama che si spuntò
Blade: Trinity (2004) è l’esempio perfetto di come il bisogno di espandere un brand possa annacquare la sua essenza. Il terzo film tenta di rendere Blade un mentore, inserendo spalle giovani e cool come Ryan Reynolds e Jessica Biel, ma finisce per tradire il tono monolitico dei primi capitoli. Il villain principale – un Dracula svogliato – è il simbolo del collasso creativo. Dietro le quinte, tensioni pesanti tra Snipes e la produzione si riflettono in una pellicola fiacca, priva dell’anima che aveva reso Blade iconico.
Oltre il tramonto
Eppure, nonostante i suoi difetti, Blade ha avuto un impatto profondo. È stato il primo film Marvel davvero riuscito, capace di ridefinire le regole del gioco. Ha introdotto uno stile, un’iconografia e un’attitudine che hanno influenzato tutto, da Underworld a Daredevil, fino alla costruzione dei protagonisti più dark dell’MCU.
Ora, con Mahershala Ali pronto a indossare gli occhiali neri nel reboot Marvel, ci si chiede se Blade saprà tornare a camminare nella notte con la stessa grazia letale di un tempo. Ma una cosa è certa: senza il primo sangue versato nel 1998, il moderno pantheon dei supereroi avrebbe forse avuto una genesi molto diversa.
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