I momenti più drammatici del sequestro di Aldo Moro viste dalle prospettive del Ministro degli Interni Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi), di Papa Paolo VI (Tony Servillo), dei terroristi Adriana Faranda (Daniela Marra) e Valerio Morucci (Gabriele Montesi) e della moglie Eleonora Chiavarelli (Margherita Buy).

In questa sua monumentale opera (160 minuti la versione cinematografica, 330 lo sceneggiato) Marco Bellocchio recupera il tema di Buongiorno, notte unendolo allo stile narrativo di Bella Addormentata, ovvero raccontando le storie di persone che ruotano attorno alla vicenda principale, ottenendo il medesimo grottesco risultato del film del 2003 in cui Bellocchio, in maniera cattedratica, cerca di stupire lo spettatore con la già vista narrazione surreale e pop, funzionale solo ad esaltare il proprio ego artistico del regista.

E così, Cossiga è uno squilibrato, Andreotti un anafettivo, il Papa un caro vecchietto ma con la mente annebbiata dagli acciacchi dell’età e la signora Moro una moglie insoddisfatta che fa puerili dispetti al marito come non preparargli la cena. Tutti sono protagonisti di situazioni paradossali, come la Loretta che grazie a una suora “guardona” (sic!!!) trova invece della prigione del marito un gruppo di studenti che già stanno già girando un film sul sequestro (alla faccia degli instant movie) o come Cossiga che vaga per i reparti degli ospedali psichiatrici seguendo le soffiate di presunti medium (altro che la seduta spiritica a cui prese parte Romani Prodi).

E i brigatisti?

Beh, Bellocchio aveva promesso questa sarebbe stata un’opera meno ideologica di Buongiorno notte, ma deve essersene dimenticato per strada. Infatti, l’occhio del padre che perdona e giustifica e sconsideratezze dei figli continua a illuminare le figure di questi terroristi che passano il tempo a sparare in mare come gli aspiranti camorristi di Gomorra, a fare saluti a pugno chiuso davanti alla tv (peggio del gerarca fascista del film di La vita è bella che faceva il saluto romano a una torta) e a inneggiare a se stessi con sguaiati cori da  stadio (Bellocchio, sempre per non essere troppo ideologico, ci regala quasi un minuto de L’Internazionale con tanto di fanfara fuori campo e ci ripropone i suoi stereotipi della terrorista con gli occhi da cerbiatta, stavolta anche buona madre di famiglia e di quello con “i baffetti da sparviero”, mentre tra il cast è semplicemente eccezionale Fabrizio Gifuni, che già aveva interpretato Moro in Romanzo di una Strage di Marco Tullio Giordana, che regala al pubblico un’interpretazione di grandissima intensità capace quasi di far dimenticare questo coacervo di autoesaltazione (“cribbio guardate come sono bravo a raccontare il sequestro Moro”) di Bellocchio.

Emblematico del desiderio del regista di auto esaltarsi senza però finire in polemica con un’emittente nazionale che prima invita un concorrente no vax ad un reality e poi lo elimina per una felpa rimane l’assolutorio “what if” iniziale. Del resto perché pensare che l’ostaggio sia stato ucciso, quando tutti i possibili responsabili hanno una scusante che va dall’infermità mentale all’immaturità?

 Moro appartiene alla nostra Storia e alla Storia ci si accosta sempre con umiltà e rispetto.

Andrea Persi

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giubors
“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey
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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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