Disponibile su Amazon Video e riproposto da Mediaset lo scorso 8 aprile questa pellicola girata da Antonio De Curtis a fianco di Nino Taranto e ad altri noti caratteristi della Commedia Italiana come suo fratello Carlo Taranto e Luigi Pavese (mentre Mario Castellani, spalla storica di Totò prestò la sua opera come aiuto regista), si inserisce in quel filone parodistico che caratterizzò, prima delle opere “impegnate” con Pasolini, Loy e Lattuada, l’ultima fase della carriera del Principe della risata e fu diretto dal regista di peplum Fernando Cerchio (La Venere di Cheronea, Nefertite, regina del Nilo), per la sceneggiatura della squadra composta da Ugo Liberatore, Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi, Gastone Da Venezia, la fotografia di Angelo Lotti (I pirati della Malesia, Kriminal) e le musiche di Francesco De Masi (La vendetta di Spartacus, Lo squartatore di New York).
Per contrastare l’invasione assira guidata dal forzuto Maciste (Samson Burke) il faraone Ramsis VIII (Nerio Bernardi) chiede aiuto a Totokamen (Totò) e al suo al fidato manager Tarantenkamen (Nino Taranto), che sostengono che il primo sia il figlio del Dio Amon e dotato di poteri sovraumani.
Ma ciò che il faraone ignora è che i due sono degli impostori e che c’è qualcuno all’interno della sua corte che trama contro di lui.
La stampa dell’epoca, sempre tiepida, se non apertamente ostile alla comicità di Totò definì il film una parodia modesta e allestita con scarsi mezzi scenografici. Ora, a parte che certamente non si può prendere da commedia la sontuosità di Ben Hur e che molte opere “storiche” dell’epoca prodotte in Italia non è che avessero chissà che allestimento, tali critiche appaiono ingenerose.
Pur non trattandosi certamente di una delle opere migliori dell’artista napoletano la raffica di doppi sensi e paradossi storici della pellicola (Totò e Nino Taranto parlano tranquillamente, nel loro consueto intercalare partenopeo, di “questure”, di “chiusure di ferragosto” e di “tabaccai” e si lamentano che il nome di Totokamen sul manifesto del locale sia più piccolo di quello di tal Peppino Del Cairo!!)) offrono un piacevole intrattenimento purtroppo annacquato, rispetto ad altre parodie meglio riuscite come Totò contro i quattro di Steno dell’anno successivo, dalla fiacca trama “peplum” che il regista tenta di affiancare a quella comica.
Un Totò, quindi, certamente di caratura minore ma che offre, comunque, uno spensierato intrattenimento di sane risate.
Andrea Persi