Di Andrea Persi 

Non c’è nulla come il Cinema capace di tirare fuori il bambino che è in ognuno di noi. Se non piangiamo per la scena della palude de La storia infinita, certamente ci commuoviamo per il finale di E.T. o per la impacciata dolcezza di Edward mani di forbice. E nessuno conosce questa verità meglio della Disney che da decenni scalda il nostro animo con i suoi personaggi tra cui troviamo la longeva orsetta di pezza (il cui sesso è stato finalmente chiarito recentemente) Winnie The Pooh, nata negli anni ’20 dalla penna dello scrittore Alan Alexander Milne e che dal primo lungometraggio del 1977 ha reso alla società americana ben un miliardo di dollari all’anno, più di Paperino, Topolino e Pippo messi insieme. Passaggio obbligato, quindi, quello al cinema con un live-action diretto da Marc Foster (Neverland – un sogno per la vita, Quantum of Solace), la sceneggiatura di Alex Ross Perry e Allison Schroeder, la fotografia di Matthias Koenigswieser e le musiche del team formato da Jon Brion, Geoff Zanelli e dal due volte premio Oscar Richard M. Sherman.

Nel bosco dei cento acri c’è grande fermento. Il giovane Christopher Robin (Orton O’Brien) sta per cominciare la scuola e saluta i suoi amici Winnie, Tigro, Tappo, Pimpi, Uffa, Ih-Oh, Kanga e Ro, dopo avergli promesso che non li dimenticherà mai. Anni dopo Christopher (Ewan McGregor) è diventato marito di Evelyn (Hayley Atwell) e padre della piccola Madeline (Bronte Carmichael), ma trascura la famiglia troppo preso dalle difficoltà del lavoro e ha totalmente scordato i suoi amici del bosco i quali, minacciati da un oscuro pericolo, si daranno da fare per ritrovarlo.

Nella prima parte del film assistiamo alla progressiva perdita della capacità di sognare da parte del protagonista che, similmente a ciò che succede a Robin Williams in Hook – Capitan Uncino, crescendo, ha dimenticato “come si vola” e che viene resa in maniera molto efficace nelle sequenze iniziali, tramite spezzoni della vita di Christopher, culminanti nella scena in cui vedendo moglie e figlia giocare, l’uomo si alza dal tavolo di lavoro non per unirsi a loro, ma per chiudere la porta così da non essere più disturbato, sancendo metaforicamente la chiusura al mondo dell’immaginazione. Nella seconda parte, che ricorda da vicino lo stile dei film di Tata Matilda, vediamo, invece, la riscoperta dell’innocenza fanciullesca e di come questo influenzi la vita del protagonista anche nel mondo reale. Un mondo reale, è bene sottolinearlo, rappresentato, però, a misura di bambino, in cui i grandi sono buffi, quindi innocui, anche quando sono malgvagi, pensiamo ai bizzarri colleghi di lavoro di Robin e all’antipaticissimo “villain” interpretato da Mark Gatiss, famoso per la serie tv Sherlock e in cui il candore di Puh diviene saggezza e la sconsideratezza di Tigro, coraggio. Un mondo, quindi, riadattato alla storia e ben lontano dal crudo realismo del biopic dello scorso anno Vi presento Christopher Robin ma che trova, come già successo per il burtoniano Big Fish, nell’ eccezionale interpretazione di Ewan Mcgregor la sua verosimiglianza con l’universo reale extra filmico.

Già censurato in Cina per una presunta somiglianza del leader Xi Jinping con Winnie (di cui il primo dovrebbe essere orgoglioso il secondo un po’ meno), il film promette di essere una splendida favola per tutti che ci ricorda, così come il capolavoro di Wolfgang Petersen, che se i personaggi della fantasia esistono grazie a noi, una parte di noi, probabilmente la migliore, esiste grazie a loro.

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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