Cinque anni della vita del Segretario del Partito Comuni Italiano Luigi Berlinguer (Elio Germano) dall’incidente automobilistico mai chiarito in Bulgaria fino al rapimento del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro (Roberto Citran).
L’opera del regista veneto Andrea Segre, girata con stile asciutto e ridondante che si snoda in maniera ciclica nel trittico, vita pubblica-vita privata-eventi storici mette in luce non solo lo stretto legame (praticamente indissolubile) tra il Berlinguer politico e il Berlinguer di marito e padre, ma anche la portata rivoluzionaria della sua idea di una società socialista che si sviluppasse nell’alveo democratico (evidenziata, tra le varie scene, sia dal fallimento dell’esperienza cilena di Salvador Allende,schiacciata dal golpe militare del Generale Pinochet e dalla tiepida accoglienza ricevuta dal segretario al XXV° Congresso del Partito Comunista Sovietico, in cui il leader prese le distanze dalla Guerra Fredda in favore di una collaborazione con le forze popolari e democratiche, a cominciare con la DC).
Ambientato nel periodo di maggior successo del PCI (dalla vittoria nel referendum sull’abolizione del divorzio, fino alle trionfali elezioni del 1976 in cui “un Italiano su tre” votò comunista), il film illumina, attraverso piccoli episodi, apparentemente, insignificanti, il percorso umano e politico di Berlinguer, la cui aspirazione quella di creare una società meritocratica (“il capitale serve solo a sostenere che qualcuno ha vinto”) formata da individui responsabili (“tu fai il capotreno e devi decidere tu se sia giusto multare i ragazzi che viaggiano senza soldi perché vogliono vedere il mondo, non io”), gli unici che possono preservarla dai pericoli degli estremismi e soprattutto in cui l’avidità e il possesso non avessero importanza (vedi l’episodio della spasmodica ricerca delle 50 mila lire messe da parte per portare la famiglia a cena fuori), opposizione a una mondo fondato sugli egoismi disparità che costringevano, come racconta il fido Alberto Menichelli (interpretato da Giorgio Tirabassi) a proposito di suo padre, gli operai infortunarsi volontariamente e a tenere la ferita aperta con la soda caustica per non perdere il lavoro.
Monumentale l’interpretazione di Elio Germano, che si conferma uno dei miglior attori del nostro Cinema, non solo per l’eccezionale talento che gli permette di interpretare personaggi lontanissimi e diversissimi da lui (un uomo di mezz’età degli anni ’70, rispetto a uomo di 40 anni del 21° secolo), ma anche sia per il rifiuto del “divismo”, di cui invece sono vittima artisti ben meno meritevoli o artisticamente dotati.
Uniche pecche sono la caratterizzazione del personaggio di Aldo Moro (altro grande protagonista del tentativo del “compromesso storico”) mostrato in maniera troppo ambigua nelle sue aperture verso i comunisti e l’eccessiva sbrigatività con cui il regista liquida la questione della scelta della linea della fermezza del PCI nel corso del sequestro.
Un film che restituisce finalmente la voce (quella di una grande attore) a una importantissima figura politica del nostro passato.
Andrea Persi
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