Di Andrea Persi 

Girare un film storico non è mai facile per un regista. Sia perché occorre trovare aspetti che attraggano il pubblico informato e sia perché spesso è necessario prendersi qualche libertà artistica quando i fatti sono noiosi. Se ci sai fare puoi realizzare, come ha fatto Mel Gibson, un film come Braveheart, considerato un capolavoro nonostante totalizzi la media di un errore ogni 3 minuti o finire come Ronald Emmerich spernacchiato a morte da pubblico e critica per il suo 10.000 B.C., e i suoi mammuth costruttori di piramidi. Impresa ardua, dunque, per premio Oscar Damien Chazelle (La La Land, Whiplash) quella di confrontarsi con il racconto dello sbarco sulla Luna tratto dal romanzo biografico First Man: The Life of Neil A. Armstrong scritto da James R. Hansen con la sceneggiatura di Accanto Josh Singer (premio Oscar per Il caso Spotlight), la fotografia di Linus Sandgren (Joy e, ovviamente, La La land) e le musiche di  Justin Hurwitz (vincitore di ben due Oscar per il musical di Chazelle).

Nel corso di quasi un decennio, dal 1961 al 1969, assistiamo ai successi e ai fallimenti del programma spaziale americano visti attraverso le esperienze dell’astronauta Neil Armstrong (Ryam Gosling), di sua moglie Janet (Claire Foy) e dei compagni di missione Buzz Aldrin (Corey Stolt), Mike Collins (Lukas Haas) e John Glenn (John David Whalen).

Chazelle affronta la difficoltà di rendere interessante uno degli eventi più noti della Storia, scegliendo, attraverso insistiti e continui primi piani e campi medi e una narrazione che si svolge quasi esclusivamente all’interno della base spaziale o delle case degli astronauti, di offrire allo spettatore una dimensione intimista e personale all’impresa, vista principalmente attraverso gli occhi di Neil Armstrong, eroe americano tormentato ma pur sempre eroe, ottimamente interpretato da Ryan Gosling rispetto a cui Claire Foy, con i suoi improbabili caschetti anni ’60 (il trucco e parrucco è morto durante la lavorazione?) appare in notevole ritardo. La scelta, portata avanti anche attraverso scenografie sobrie, funzionali a non distrarre il pubblico dagli attori, si rivela vincente al punto che lo spettatore ha la sensazione di trovarsi dentro le capsule spaziale con gli astronauti, di percepire il dolore dei loro fallimenti (e per la perdita di vite) e la gioia dei loro successi, e soprattutto di partecipare non solo al viaggio verso la Luna dell’intero genere umano ma anche al metaforico ritorno a casa del protagonista. Tutto questo senza rinunciare alla spettacolarità e ad alcune citazioni tratte dal capolavoro 2001 – Odissea nello spazio, come l’utilizzo della musica classica o dal più recente Gravity di Alfonso Cuarón.

Ancora più del precedente, un film per folli e sognatori e, perché no, anche per temerari.

Chazelle risolve l’ovvia difficoltà di raccontare una storia

 

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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