A poche settimane dalla nascita del suo primo figlio, Justin Kemp (Nicholas Hoult),viene chiamato a far parte della giuria che dovrà processare James Sythe (Gabriel Basso) accusato dall’ambiziosa procuratrice Faith Killebrew (Toni Collette) del brutale omicidio della sua fidanzata Kendall Carter (Francesca Eastwood). Nel corso del dibattimento, Justin si troverà ad affrontare un difficile dilemma morale.

Scritto da Jonathan A. Abrams, l’ultima fatica del novantaquattrenne Eastwood, che stavolta si limita a dirigere, ma che porta sullo schermo un personaggio, quello di Harold (J.K. Simmons), ispirato ai suoi eroi anticonvenzionali, ma dai ferrei principi morali, è un legal thriller dai risvolti psicologici che ha fatto già parlare di sé in America per la presunta censura da parte della Warner che, per via delle idee politiche del regista (repubblicano di ferro, ma fieramente non trumpiano), lo avrebbe ritirato anzitempo dalle sale per trasmetterlo in streaming, salva la mezza marcia indietro della produzione che, a causa delle ottime recensioni ricevute dalla critica, ha deciso di presentarlo per le prossime candidature agli Oscar e qui da noi uscirà il 14 novembre, scontrandosi col Gladiatore II di Ridley Scott.

Un destino immeritato per un film notevole che nelle quasi due ore di durata, riesce in ogni sequenza (nonostante qualche sbavatura narrativa e un epilogo un po’ buttato via) a mantenere alta la tensione narrativa (soprattutto su come potrà finire), tra colpi di scena che si dipanano sia dentro che fuori l’aula giudiziaria, ma senza quelle scene di violenza o d’azione (di cui Clint ci ha mostrato di poter fare benissimo a meno) che ci si potrebbero aspettare da una trasposizione di un libro di John Grisham, come Il momento di uccidere o L’uomo della pioggia, in un noir più ispirato al capolavoro di Sidney Lumet La parola ai giurati, (sebbene in questo caso si potrebbe dire in romanesco “il giurato più pulito, c’ha la rogna”)nel quale la verità rimane, anche per lo spettatore a cui pure viene mostrato sin da subito più di quanto sappiano i personaggi, evanescente fino all’ultimo, in un atto d’accusa, nemmeno troppo velato non tanto al sistema giudiziario, quanto a coloro che lo dovrebbero amministrare con correttezza e senza debolezze e che invece scelgono facili scorciatoie e apparenze ingannevoli tanto che in talune scene  il personaggio di Faith Killebrew (interpretato da una bravissima e intensa Tony Collette, di nuovo a fianco di un altrettanto ottimo Nicholas Hoult, 22 anni dopo About a boy) sembra uscita da una parodia di Law & Order , tanto si dimostra ingenua a non vedere ciò che ha, letteralmente, sotto gli occhi. 

E, in effetti, il film fin dalle prime immagini è un continuo mettere in discussione le (apparenti) certezze anche del pubblico che tali sono perché qualcuno ha sbagliato e tali sono destinate a restare finché qualcuno non si fa carico di rimediare anche a proprio rischio, perché come disse Thomas Jefferson “Il prezzo della libertà è un’eterna vigilanza”.

Viste le meraviglie che è ancora in grado di creare, speriamo che questo film non rappresenti il “passo d’addio” per il vecchio Clint, ma se dovesse esserlo, il regista de Gli Spietati e Million dollar baby non potrebbe uscire di scena in modo migliore.

Andrea Persi

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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