Colin Trevorrow conclude la nuova trilogia ispirata al capolavoro di Steven Spielberg (il cui secondo capitolo è stato diretto dal regista spagnolo Juan Antonio Bayona) con una monumentale pellicola di oltre due ore e mezza che cerca metaforicamente di chiudere il cerchio narrativo della saga tramite il ritorno del cast originale nel nuovo mondo dove uomini e dinosauri convivono, creato dal regista di Oakland.  

Sono passati quattro anni dalla distruzione dell’isola Nublar e i dinosauri superstiti hanno invaso l’intero pianeta causando problemi di convivenza con gli esseri umani a cui i governi hanno tentato i porre rimedio affidando alla società del Dr Lewis Dodsgson (Campbell Scott) l’esclusiva mondiale per la caccia e la ricerca sugli animali, conservati in una struttura sulle Alpi italiane, in cui lavorano anche il Dr Ian Malcolm (Jeff Goldblum) e il genetista Henry Wu (Db Wong). Intanto Owen Grady (Chris Pratt) e Claire Dearing (Bryce Dallas Howard) cercano di proteggere i dinosauri dai bracconieri e di fare da genitori alla giovane Maise (Isabella Sermon), mentre la Dottoressa Ellie Sattler (Laura Dern) chiede aiuto al vecchio amico Alan Grant (Sam Neill) per venire a capo di una misteriosa invasione di locuste che potrebbe ridurre alla fame il pianeta.  

I film di solito si dividono in tre categorie: quelli che ti stupiscono, quelli che ti deludono e quelli che sono esattamente come ti aspetti. E questo appartiene all’ultima, in quanto mi aspettavo un inutile “trashata” e questo ho visto. Il regista motteggia con il consueto canovaccio del franchise (l’uomo cerca di sfruttare i dinosauri, causando un disastro), rigurgitando sequenze dal film capostipite (si vedano quella sulla fuga dalla struttura o sul destino del cattivo) e cercando per il resto di tirare avanti la carriola con trite sequenze d’azione (abbiamo perfino la fuga in moto attraverso il paesello e l’aereo “preso al volo”) interpretate dai personaggi più odiosi dell’intero franchise ovvero il paleontologo – jedi che blocca predatori allungando il braccio (o magari è grazie al fetore dell’ascella) e la scienziata con l’occhio della madre di fantozziana memoria, capace solo di urlare e finire in imbarazzanti situazioni di pericolo, come quando viene eiettata dall’aereo mentre tutto attorno volteggiano carnivori alati (e vabbè!!!!).

Se riproporre il personaggio di Dodsgson, brevemente visto in Jurassic Park e farne imprenditore in stile Steve Jobs dal carattere un po’infantile appare come l’unico barlume di creatività del regista, far tornare il vecchio cast solo per  ripaludarlo negli stessi vestiti e nelle stesse situazioni del 1993 risulta irritante e inutile come lo è inserire i due personaggi politicamente corretti del dirigente di colore coi risvoltini ai pantaloni e della pilota dell’aereo lgbt.

Da Trevorrow non ci si aspettava certamente un’opera come quelle dirette da Spielberg, ma nemmeno che dimostrasse così smaccatamente che il Cinema talvolta non solo non si evolve ma riesce perfino regredire.

Andrea Persi

Eccovi il trailer

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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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