Attrice, giornalista e conduttrice televisiva, Monica Randall, all’anagrafe Aurora Juliá Sarasa, nacque a Barcellona nel 1942 e fece parte compagnia teatrale di Alejandro Ulloa, prima di debuttare al cinema con “La revoltosa” di José Díaz Morales.
Bellissima, recitò in ventuno spaghetti western, impersonando seduzione e fascino.
Ricordiamo “Professionisti per un massacro” di Nando Cicero, con George Hilton, “La lunga notte di Tombstone” di Jaime Jesus Balcazar, con Tomas Milian, Fernando Sancho e Anita Ekberg, “Sei una carogna… e t’ammazzo!” di Manuel Esteba, con Pierre Brice, “Gli eroi di Fort Worth”, con Edmund Purdom, Ida Galli ed Eduardo Fajardo, e “100.000 dollari per Ringo”, con Richard Harrison, entrambe pellicole di Alberto De Martino, infine nel comico “Ringo e Gringo contro tutti” di Bruno Corbucci, con Raimondo Vianello e Lando Buzzanca.
Era una bellezza elegante, sofisticata, sensualissima. Nel 1971, Terence Young la volle, con la svizzera Ursula Andress e la francese Capucine, per il suo western attraversato da note erotiche, “Sole Rosso”. C’erano Charles Bronson, Toshiro Mifune e Alain Delon e c’era la censura, subito pronta ad intervenire.
Alla Randall, Young affidò la scena più forte.
L’attrice mostrò brevemente il suo seno nudo e l’inquisitore disapprovò ed agì: una dissolvenza nera sullo schermo fu imposta ad impedire che lo spettatore potesse vedere più del dovuto. Accade nella Spagna franchista, ma anche in Italia e in Giappone e la Randall si ritrova ancora oggi in una delle scene di seminudo più note della storia del cinema, tesimonianza del moralismo di un’epoca lontana.