E così tra i “tre” litiganti alla fine ha goduto il quarto, ossia il sudcoreano Parasite che entra nella Storia, vincendo gli Oscar come miglior film, miglior film straniero, migliore regia e migliore sceneggiatura originale. I brutti, sporchi e cattivi (ma nemmeno tanto) di Bong Joon-ho, sbaragliano un campo in cui l’Academy ha saputo muoversi non scontentando nessuno (e quindi scontentando tutti) senza premiare il cinecomic di Todd Phillips, i prodotti Netflix Storia di un matrimonio e The Irishman e i più convenzionali (buffo dirlo per un film di Tarantino) 1917 e C’era una volta a Hollywood.
Ma qui finisce la “rivoluzione”. Scontate (ma non per questo immeritate) infatti, le altre statuette assegnate a Joaquin Phoenix per Joker (che conquista anche il premio per la migliore colonna sonora ideata dalla islandese Hildur Guðnadóttir), il quale ha dedicato il suo commovente discorso alla cura dell’ambiente e al fratello River, scomparso davanti ai suoi occhi 23 anni fa, a Renée Zellweger per Judy, a Brad Pitt come miglior attore non protagonista per C’era una volta a…..Hollywood (che con Barbara Ling e Nancy Haigh vince anche il premio per la migliore scenografia) e a Laura Dern, come attrice non protagonista, per Storia di un matrimonio. Delusioni più o meno concenti per gli altri candidati che si devono accontentare degli Oscar tecnici, tranne che Irishman di Scorsese che resta a bocca asciutta su 10 nomination e per Scarlett Johansson che non riesce a conquistare nessuno dei due Oscar a cui era candidata. Taika Waititi con il suo JoJo Rabbit conquista un non indifferente premio per la migliore sceneggiatura non originale che premia il notevole e originale lavoro fatto sul romanzo di Christine Leunens, mentre il più malinconico Toy Story della serie vince con estrema facilità l’Oscar come miglior lungometraggio animato. Una rivoluzione a metà nelle scelte dell’Academy, che solo il tempo ci darà se preludio a decisioni più ardite o un semplice fuoco di paglia.
Andrea Persi