Sparare all’ennesimo sequel non è elegante, ma quando arriva Sniper: The Last Stand, l’istinto di autodifesa critica scatta come il grilletto di un cecchino impaziente. Dopo mille capitoli (ok, non mille, ma quasi), questa saga continua imperterrita come il Wi-Fi del vicino: instabile, ma sempre presente.

La sinsossi ? Presente! Originale? Eh…

Brandon Beckett torna in missione. O forse non era mai andato via? Fatto sta che stavolta si infiltra sotto copertura per combattere dei terroristi. Ma la vera missione, in fondo, è per lo spettatore: restare svegli fino ai titoli di coda. Tra cospirazioni di cartapesta, doppiogiochisti annunciati e frasi motivazionali da biscotto della fortuna, Sniper: The Last Stand ha tutto ciò che serve per farci rimpiangere persino i capitoli precedenti.

Attori in mimetica… anche dal talento

Chad Michael Collins ci riprova, con l’entusiasmo di chi ha appena scoperto che dovrà girare altri due sequel. Il suo Brandon Beckett è sempre serio, sempre onesto, sempre… uguale. Intorno a lui, personaggi che sembrano generati da un algoritmo militare: “Capo burbero”, “Spia con passato oscuro”, “Tecnico informatico sveglio ma simpatico”. Mancava solo il cane da guerra che abbaia una volta per dire “ce l’hai fatta, eroe”.

Azione a basso rischio cardiaco

Le scene d’azione ci sono, e alcune funzionano. Ma altre sembrano coreografate durante la pausa pranzo. La regia è diligente, come uno studente che copia gli esercizi senza capire la teoria. Si spara, sì, ma a salve sull’originalità. E la tensione? Più o meno quella di una partita a briscola tra pensionati.

In sintesi:

Sniper: The Last Stand è come una vecchia tuta mimetica: funziona ancora, ma è piena di buchi.
Voto: 5/10 (più 0.5 se siete fan irriducibili di tutto ciò che spara e fa “boom”).

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giubors
“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey
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“Chi ride al cinema non guarisce dalla lebbra, ma per un'ora e mezza non ci pensa.” di Jim Carrey

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