Campo di battaglia, il nuovo film di Gianni Amelio con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini in concorso all’ 81esima Mostra Internazionale d’ Arte Cinematografica di Venezia. Qui la nostra recensione in anteprima, il film uscirà nelle sale il 5 settembre 2024.
Campo di battaglia, Recensione
“La guerra è un dovere, disertare è tradire” si apre così, con gli effetti devastanti della guerra e un ammasso di corpi inermi, il nuovo film gioiello di Gianni Amelio che imprime nelle nostre menti le crudeli immagini della prima guerra mondiale. Friuli Venezia Giulia, 1918: due ufficiali medici sono in prima linea al “fronte” dell’ ospedale militare, dove vengono accolti i reduci di battaglia. Alcuni eroi, altri “furbi”, la preoccupazione del capitano Giulio Farrasi (Gabriel Montesi) è chi farà l‘ Italia una volta finita la guerra.
Giulio Farrasi, l‘ uomo devoto alla Patria, l‘ “inconsapevole mussoliniano” per eccellenza, emblema di quello stesso rigore che lo inviterà ad un costante conflitto interiore, perché “si gioca sempre contro sé stessi” quando si vuole bene a qualcuno. E poi Stefano Zorzi (Alessandro Borghi) l‘ altro lato della medaglia, il “giuramento di Ippocrate al contrario”, l‘ uomo che rovescia nello spettatore la prospettiva di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Gli occhi blu infiniti di Alessandro in cui si rispecchiano le coscienze compromesse dei potenti e i lamenti dei disperati.
“In questi letti non ci sono eroi, ma solo disgraziati”, la visione diametralmente opposta dell‘ ufficiale Zorzi che preferisce sottrarre qualcosa alla vita dei suoi pazienti pur di non spegnerla totalmente. Perché a volte “è meglio imbracciare una zappa che un‘ arma” e perché no, sognare magari di impugnare quella più potente di tutte: un libro, affinché riescano a non ucciderci il pensiero. La sottolineava anche Roberto Vecchioni nella sua “Chiamami ancora amore”, quell‘ urgenza di difendere questa umanità così vera in ogni uomo, la stessa in cui crede paradossalmente anche il nostro Stefano Zorzi.
Ma la straordinarietà di Gianni Amelio, in questo apologo utopistico, è quella di non tracciare una linea interpretativa definita allo spettatore, che deve riuscire a districarsi da solo nel relativismo protagoreo della verità e dell‘ etica umana, spesso contrapposta all‘ etica del comando e del dovere.
E se invece socraticamente “l‘ uomo è misura di tutte le cose”, anche i nostri due protagonisti dovranno in qualche modo mettersi i panni l‘ uno dell‘ altro per misurarsi con ciò che è altro da sé, entrare in cortocircuito con sé stessi, annaspare tra regole e vita. Con Zorzi, “la mano santa”, Amelio ci fa entrare spesso nella sua coscienza attraverso l’intensità dei primi piani, cogliendone i pensieri. Mentre con Farrasi, l‘ inquadratura è spesso a mezzo busto, come a volerci e volersi imporre una distanza tra sé e la realtà circostante.
Il trait d’ union sarà proprio Anna (Federica Rosellini), inizialmente tirata da una parte all‘ altra della coscienza e che invece sul finale rivelerà al pubblico il messaggio più importante ed estremamente attuale: in guerra non esistono vincitori, ma solo vinti. Sono le vittime a pagare il prezzo più alto, di un‘ umanità che fa fatica a riconoscere sé stessa. E questo avviene perché alla guerra in trincea e alla guerra invisibile dell‘ epidemia si aggiunge forse quella più cruenta e brutale: quella della coscienza e dell’irrimediabile senso di colpa.
Il cinema di Gianni Amelio
Lo lasciano intuire gli artisti in conferenza stampa, lo ribadiamo noi: Gianni Amelio è uno degli “ultimi romantici”, poeti sopravvissuti del cinema d’autore. Forza sicura nel dirigere gli attori, meticolosità assoluta, premura nella ricerca del senso, perfezione della forma. Nulla viene lasciato al caso nelle inquadrature e nella scenografia, nella spasmodica ricerca della “luce giusta” lasciata sapientemente nelle mani di Luan Amelio Ujkaj. Nel cinema “ciò che non si vede forse non esiste” afferma il regista. Non indugia sui cadaveri o le ferite, non mostra la crudeltà degli effetti di un’esecuzione. Preferisce di gran lunga lasciar immaginare, alla Jonathan Glazer ne “La zona d’interesse”, perchè l’immaginazione a volte è più forte, violenta e reale della realtà stessa.
Un film emozionante che invita all’ascolto e alla negazione dell’indifferenza, la stessa che applichiamo tutti i giorni nelle realtà scomode del mondo che non vogliamo vedere. “Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo” affermava il poeta Jalaluddin Rumi, quel campo di battaglia da cui non è più possibile tornare indietro.
Campo di battaglia, Il trailer
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