Figura complessa, dalle ricchissime sfumature, selvaggia ed al contempo raffinata, umana e ferina, metafora di un’aristocrazia che non vuole arrendersi alla borghesia, il conte Vlad Tepes ha sedotto anche la cinematografia dai suoi albori sino alle tinte supereroistiche di Luke Evans e “Dracula Untold”.
Indubbiamente fu “Nosferatu”, il film muto di Murnau del 1922, a fornire quell’insieme di tematiche, caratteri e scene a cui avrebbero attinto tutti. Gli eredi di Bram Stoker denunciarono il regista e lo scenografo Henrik Galeen per violazione dei diritti d’autore e la pellicola avrebbe dovuto essere distrutta, fortunatamente qualche copia si salvò. Il mostruoso e scheletrico vampiro Max Schreck ha ispirato tutte le successive incarnazioni cinematografiche del principe delle tenebre, quelle più orrifiche, quelle più sensuali, quelle più romantiche.
Nel 1931 la Universal si affidò a Bela Lugosi ed al regista Tod Browning puntando sullo sguardo ammaliante del succhiasangue, la sessualità torbida e l’eleganza spinta sino all’inquietante. Malinconico, passionale e spettrale, Lugosi arricchì la sua interpretazione dell’accento ungherese e riuscì perfettamente a trasferire nella pellicola le caratteristiche che aveva dato già al vampiro in teatro. L’attore restò così legato al personaggio che alla sua morte, nel 1956, si fece seppellire vestito da Dracula. De gustibus.
Questo vampiro influenzò parecchio la Hammer che avviò nel 1957 una serie di film dedicata a Dracula con Christopher Lee. Il primo capitolo “Dracula il vampiro”, è buono. Col sequel del 1966 “Dracula, principe delle tenebre”, già le cose peggiorano. Terence Fisher diresse entrambi ricorrendo a tutto il bagaglio di cliché che facevano la forza del personaggio, ma che alla lunga risultarono anche la sua debolezza. “Le amanti di Dracula”, diretto da Freddie Francis, è il capitolo seguente. La Hammer lo produsse nel 1968 e vi troviamo un risorto Dracula che si vendica del vescovo di Keinenberg, Monsignor Mueller (Rupert Davies), che gli ha sbarrato le porte del castello con una croce, vampirizzando sua nipote Maria (Veronica Carlson). Lo fermerà Paul (Barry Andrews) il fidanzato ateo della ragazza in un’avventura che lo porterà a convertirsi. E’ il film della serie che presenta la trama migliore. Spettacolari poi le scene sui tetti. Due anni dopo abbiamo il seguito con la regia di Peter Sasdy, “Una messa per Dracula”, un attacco esplicito alle ipocrisie dei ceti dirigenti, soprattutto in ambito sessuale. Dracula risorge, per l’ennesima volta, e da vita alla sua vendetta scontrandosi ancora con un fidanzato. Il film si lascia apprezzare per le ambientazioni, ma la trama è più banale come quella di “Il marchio di Dracula” di Roy Ward Baker, “1972: Dracula colpisce ancora” di Alan Gibson e “I satanici riti di Dracula” di Alan Gibson. In tutta la serie conosciamo un Vlad Tepes assetato di sangue, per niente decadente, non vive il dramma della sua dannazione, non ha profondità e non meraviglia che Christopher Lee non mostrasse grande considerazione per queste pellicole nonostante la grande fama che gli concessero.
Altro spessore per “Dracula” di John Badham. Questa pellicola del 1979 con Frank Langella nella parte del celebre vampiro presenta ottimi costumi e scenografia. E’ il Dracula più romantico, ma quello stesso anno “Nosferatu, il principe della notte”, del regista Werner Herzog, lo schiacciò. E’ questa probabilmente la migliore rivisitazione. Il punto di forza sicuramente è Klaus Kinski che riesce a dare al suo vampiro sottili sfumature melanconiche e tragiche che mancano nelle altre pellicole. Kinski aveva già avuto una parte nel più canonico “Il conte Dracula” di Jesús Franco (sì, ancora un film con Christopher Lee!!!), quasi dieci anni prima, e probabilmente aveva avuto modo di studiare bene il personaggio. Dire chi sia il vero Dracula è difficile, ma Kinski se la gioca per il primo posto. Va imprescindibilmente visto.
Il “Dracula di Bram Stoker” del 1992 con Gary Oldman e la regia Francis Ford Coppola è il film più conosciuto sul celebre vampiro, merito di ripetute proiezioni televisive. Questo vampiro coi suoi orribili occhiali blu scuro è forse il più gotico della storia e lo attornia un cast di attori del calibro di Anthony Hopkins, Keanu Reeves, Tom Waits, Monica Bellucci. E’ un film visivamente sbalorditivo con un buon carico di erotismo. Il successo è meritato. Brutale invece è il conte in “Dracula 3D” di Dario Argento. Un vampiro aggressivo e truculento, che non seduce con lo sguardo, ma con la forza, addolorato per la morte di sua moglie, quattrocento anni prima, e che riesce pure a trasformarsi in lupo. E poi c’è un eccezionale Rutger Hauer nei panni di Van Helsing! Una scena è un evidente omaggio al primo film della serie della Hammer, quando Tanja (Miariam Giovanelli) prova a mordere Jonathan (Unax Ugalde) e viene selvaggiamente spinta da parte da Dracula (Thomas Kretschmann) che esclama: “E’ mio”. La si era già vista interpretata da Valerie Gaunt, John Van Eyssen e Christopher Lee. In vero i rimandi ai film vampireschi della casa di produzione britannica son tanti e si fanno apprezzare.
L’elenco potrebbe continuare, è sterminato, ma una gemma brilla accanto ai titoli citati. E’ il suggestivo “Nosferatu a Venezia”. La trama prende le mosse dalla visita veneziana del professore Paris Catalano (Christopher Plummer), intento ad indagare, accanto a Helietta Canins (Barbara De Rossi), sull’ultima apparizione conosciuta del famoso vampiro durante il carnevale del 1786. Stregano le atmosfere inquiete e decadenti della città lagunare e c’è ancora Kinski, ancora perfetto, ancora tragico. Non volle rasarsi, non volle truccarsi, non volle ridurre la pellicola ad un sequel del successo di Herzog. Dette quindi vita ad un vecchio e tormentato vampiro, desideroso del riposo eterno. L’attore litigò con tutti e furono diversi i registi che abbandonarono l’impresa, così resta ancora un mistero chi abbia davvero diretto il film, forse fu Luigi Cossi, forse Augusto Caminito, ma il risultato è ottimo, malato, intenso, tutto da gustare.
Angelo D’Ambra