Il diretto, interessato, ossia Giulio Andreotti passò, nel giro di qualche settimana, dal definirlo una “mascalzonata” a correggersi dicendo che le mascalzonate erano altre. Che il politico abbia cambiato idea, cosa insolita per lui, o si sia piuttosto reso conto che la sua prima dichiarazione era un notevole spot per la pellicola (di cui il regista si approfittò subito per promuovere l’opera) o che ne abbia capito la reale innocuità non lo sapremo mai, ma certamente il film diretto e sceneggiato da Paolo Sorrentino, per la fotografia di Luca Bigazzi (La tenerezza, Io sono tempesta) e le musiche di Teho Teardo (Denti, Il gioiellino), rappresenta uno dei più interessanti esercizi stilistici e narrativi del Cinema italiano degli ultimi anni.
Le vicende, pubbliche e private, che hanno visto protagonista Giulio Andreotti (Toni Servillo) tra il 1992 e il 1993, dalla nascita del suo settimo e ultimo governo fino all’apertura del processo a suo carico per mafia, passando per l’elezione del Presidente della Repubblica del 1992, i rapporti con la sua con la sua “chiacchierata” corrente e il legame con la moglie Lidia (Anna Bonaiuto).
Per un pubblico abituato a film “d’inchiesta” duri e crudi come Il caso Moro o 100 giorni a Palermo quello di Sorrentino è certamente un approccio inedito verso una delle figure politiche più importanti e, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, controverse della nostra Storia recente, costituito da momenti surreali (si veda la scena del monologo sul Male), che ricorda da vicino lo stile di Elio Petri e pulp (vedasi le sequenze dei vari “delitti di Stato”) a cui si aggiungono la consueta proponente opulenza scenica (di recente nuovamente ammirata nella serie tv The New Pope) e l’utilizzo straniante, alla Baz Luhrmann, delle musiche (come nella scena del presunto incontro Andreotti e il boss Riina, a cui fa da contrappunto il brano pop Conceived della cantante Beth Orton), che contribuiscono, nonostante i precisi riferimenti temporali a fatti reali, a decontestualizzare la narrazione dall’epoca in cui si svolge.
Del resto ciò che Sorrentino ci vuole mostrare, in una meravigliosamente anarchica contrapposizione con ciò che dovrebbe essere un biopic, non è l’uomo Andreotti (che emerge sì e no in paio di sequenze) ma il personaggio Andreotti con la sua maschera di uomo di potere, imperturbabile, erudito, sarcastico e, in un certo senso, immutabile. Ne viene fuori così, grazie anche a un’eccezionale interpretazione di Tony Servillo sostenuta dalle ottime prove dei numerosi comprimari tra cui ricordiamo Carlo Buccirosso nel ruolo di Paolo Cirino Pomicino, il recentemente scomparso Flavio Bucci (il devoto Franco Evangelisti) e Carla degli Esposti (la fidata segretaria Vincenza Enea), un racconto ricco di metafore (una delle più potenti è lo skateboard che va a sbattere conto una parete di Montecitorio mentre gli onorevoli confabulano sull’elezione di Andreotti al Quirinale, simbolo di quello skateboard usato dai mafiosi per piazzare l’esplosivo sotto la A29 di Capaci), ostico per i riferimenti a fatti ed eventi tuitto sommato poco noti all’estero e soprattutto assolutorio dell’Andreotti grande burattinaio del male e dello stragismo nazionale rappresentatoci, invece, come un uomo la cui unica colpa è stata quella di essere sopravvissuto a tutto e a tutti.
Film stupefacente e innovativo ma certamente non “di denuncia”.
Andrea Persi